Procedimento patrocinato da DE SIMONE LAW FIRM
Nella specifica ipotesi in cui l’azione revocatoria ordinaria sia esercitata dal curatore fallimentare, quest’ultimo, fermo restando l’onere di dimostrare la sussistenza del presupposto soggettivo, è tenuto a provare, sotto il profilo oggettivo, ad eccezione della fattispecie nella quale l’atto dispositivo sia stato intenzionalmente preordinato a pregiudicare il soddisfacimento di obbligazioni future, l’anteriorità dell’insorgenza dei crediti o di alcuni dei crediti ammessi al passivo rispetto al negozio giuridico che si assume pregiudizievole, l’entità dei tali crediti e il mutamento quantitativo e qualitativo subito dal patrimonio del debitore per effetto del compimento del medesimo, potendosi, solo con l’acquisizione di tali dati, verificare in concreto, attraverso il loro raffronto, se il patto in questione abbia effettivamente leso le ragioni creditorie.
Questo il principio espresso dal Tribunale di Salerno, dott. Alessandro Brancaccio, con la sentenza pubblicata il 07 gennaio 2016, n. 11, nell’ambito di un giudizio di revocatoria ordinaria proposto da una curatela fallimentare.
Nel fattispecie in esame, il fallimento della società in liquidazione evocava in giudizio una SOCIETÀ S.R.L. per ottenere la dichiarazione di inefficacia, ai sensi degli artt. 2901 c. c. e 66 r.d. n. 267/1942, di una scrittura privata con cui la società sottoposta al procedimento concorsuale aveva ceduto il contratto di locazione finanziaria stipulato con una società di LEASING.
Nel costituirsi in giudizio, la SOCIETÀ S.R.L. e la società di LEASING contestavano la fondatezza della domanda, per insussistenza dei presupposti per la proposizione della revocatoria ordinaria.
Il Tribunale di Salerno, muove il proprio esame, illustrando analiticamente i presupposti soggettivi e oggettivi per l’esperimento di una azione revocatoria ordinaria.
Viene evidenziato, pertanto, come in una prospettiva di carattere generale, ai sensi dell’art. 2901, comma 1, c. c., il creditore, anche se il credito é soggetto a condizione o a termine, possa domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni:
1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al file di pregiudicarne il soddisfacimento;
2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione.
Il Tribunale precisa che l’art. 2901, comma 1, c.c., ha, accolto una nozione di credito in senso lato, comprensiva della ragione o dell’aspettativa giuridicamente rilevante, non richiedendo i normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità previsti dall’art. 474, comma 1, c.p.c„ per il titolo esecutivo.
Ai fini della proposizione e dell’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria, è necessario, poi, dare prova della contestuale sussistenza di due requisiti essenziali: sotto il profilo oggettivo l’eventus damni ossia che l’atto dispositivo compiuto arrechi un vero e proprio pregiudizio al creditore, e l’altro di tipo soggettivo, sostanziandosi questo nella scientia damni del debitore che dolosamente compie l’atto dispositivo essendo cosciente del fatto che tale atto arrechi un danno al creditore.
Sul punto il Tribunale compie due precisazioni.
Sotto il profilo oggettivo, viene precisato come non sia necessario dimostrare, la totale compromissione della consistenza dei beni del debitore, essendo sufficiente il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, nel senso che l’eventus damni può consistere non solo in una variazione quantitativa del suo patrimonio, ma anche in una modificazione qualitativa del medesimo (cfr., ex plurimis, Cass. 29 marzo 2007, n. 7767; Cass. 9 febbraio 2012, n. 1896; Cass. 3 febbraio 2015, n. 1902).
Sotto il profilo soggettivo, quando l’atto dispositivo sia successivo al sorgere del credito, unica condizione per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, è la conoscenza che il debitore abbia dei pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie, nonché, per gli atti a titolo oneroso, l’analoga consapevolezza in capo al terzo, potendo la prova della sussistenza della scientia damni essere fornita tramite presunzioni e, dunque, fondarsi anche su elementi indiziari, purché gravi, precisi e concordanti, ai sensi dell’art. 2729, comma 1, cod. civ. (cfr., ex plurimis, Cass. 5 giugno 2000, n. 7452; Cass. 17 agosto 2011, n. 17327; Cass. 30 dicembre 2014, n. 27546); quando, invece, l’atto dispositivo sia antecedente al sorgere del credito, la condizione per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria è la sussistenza del consilium fraudis del debitore nonché, per gli atti a titolo oneroso, della partecipazione fraudis del terzo, vale a dire della conoscenza, da parte di quest’ultimo, della dolosa preordinazione del negozio traslativo rispetto alle obbligazioni future, potendo, anche in tal caso, la prova dell’esistenza degli elementi soggettivi essere fornita tramite presunzioni, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata (cfr., ex ceteris, Cass. 21 settembre 2001, n. 11916; Cass. 9 maggio 2008, n. 11577; Cass. 7 agosto 2008, n. 24757).
Nel caso in cui l’azione revocatoria sia esercitata dal curatore, il Tribunale di Salerno, a questo punto, sottolinea come quest’ultimo, fermo restando l’onere di dimostrare la sussistenza del presupposto soggettivo, sia tenuto a provare: a) l’anteriorità dell’insorgenza dei crediti o di alcuni dei crediti ammessi al passivo rispetto al negozio giuridico che si assume pregiudizievole, b) l’entità dei tali crediti e c) il mutamento quantitativo e qualitativo subito dal patrimonio del debitore per effetto del compimento del medesimo; potendosi, solo con l’acquisizione di tali dati, verificare in concreto, attraverso il loro raffronto, se il patto in questione abbia effettivamente leso le ragioni creditorie.
Invero, soltanto se dalla valutazione complessiva e rigorosa di tutti e tre questi elementi dovesse emergere che, in conseguenza dell’atto pregiudizievole, sia divenuta oggettivamente più difficoltosa l’esazione del credito, in misura eccedente la normale e fisiologica esposizione di un imprenditore nei confronti dei propri creditori, potrà ritenersi dimostrata la ricorrenza dei presupposti oggettivi per l’accoglimento della domanda di cui agli artt. 2901 cod. civ. e 66 r.d. n. 267/1942.
Nel caso di specie, il Tribunale ha rilevato l’insussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi.
In particolare, sotto il profilo oggettivo, ad avviso del giudice campano, il fallimento non ha dimostrato né la preesistenza dei crediti ammessi al passivo alla stipulazione della cessione del contratto di locazione finanziaria di cui invoca la declaratoria di inefficacia, né la dolosa preordinazione dell’atto rispetto ai crediti successivamente sorti, né l’ammontare dei medesimi, né l’effettivo decremento della consistenza patrimoniale della società a seguito del predetto negozio giuridico e la consequenziale inidoneità dei beni residui a garantire il soddisfacimento delle pretese creditorie azionate in sede concorsuale, né, sotto l’aspetto soggettivo, la sussistenza della scientia damni in capo alla società debitrice, alla s.r.l. e alla banca.
Ed infatti -rileva il Tribunale- il Fallimento si sarebbe limitato ad asserire che la cessione del contratto di locazione finanziaria era avvenuta ad un prezzo incongruo, sicchè tale circostanza non è idonea nel caso di azione revocatoria esperita ex art. 2901 c.c. ad integrare una prova sufficiente a dimostrare la compromissione del patrimonio.
Sul punto, il giudice ha affermato che: “l’eventuale sproporzione tra il valore del contratto ceduto e il prezzo corrisposto dalla cessionaria, ove superiore alla misura di un quarto, avrebbe assunto dirimente rilevanza qualora il fallimento avesse promosso l’azione revocatoria prevista dall’art. 67, comma 1, n. 1, r.d. n. 267/1942, ma, nell’ambito del giudizio di cui all’art. 2901 cod. civ, è inidonea a dimostrare, ex se, in mancanza di ulteriori riscontri oggettivi, come l’insussistenza di altri beni aziendali suscettibili di escussione, l’intervenuta compromissione del patrimonio della società debitrice”.
Ritenuta insufficiente la prova data dal curatore e attesa la non configurabilità di alcun parametro di riferimento idoneo per valutare in concreto l’incongruità del prezzo pagato rispetto al valore della posizione giuridica trasferita, e la reale compromissione della consistenza patrimoniale della cedente, il Tribunale ha rigettato la domanda del fallimento, condannando al pagamento delle spese processuali.