ORDINE DI LIBERAZIONE: realizza un processo esecutivo concreto, effettivo ed efficace

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm 

La liberazione dell’immobile rende più probabile la vendita a prezzo di mercato atteso che lo stato di occupazione può determinare nei potenziali acquirenti incertezza in ordine ai tempi di effettiva consegna nel caso di aggiudicazione e, quindi, costituisce un disincentivo alla loro partecipazione alla gara.

L’ordine di liberazione è funzionale allo scopo di realizzare un processo esecutivo concreto, effettivo ed efficace con una migliore conservazione dell’immobile e un rapido svolgimento della procedura.

Questi i principi espressi dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Dott. Valerio Colandrea con ordinanza del 19.04.2016.

È’ accaduto che nell’ambito di una procedura espropriativa, il creditore procedente, in seguito a vari tentatitivi di vendita infruttuosi dell’immobile pignorato, chiedeva la liberazione dello stesso, ritenendo che la presenza del debitore potesse essere di ostacolo alla realizzazione del giusto prezzo di vendita.

In merito a tale richiesta, il Giudice dell’esecuzione sottolineava che a seguito del pignoramento, il debitore non può più vantare, rispetto ai creditori, alcuna posizione soggettiva qualificata in ordine al godimento del bene pignorato, atteso che, ai sensi dell’art. 560, terzo comma, c.p.c., lo stesso può continuare ad abitare l’immobile solo in quanto espressamente autorizzato dal giudice dell’esecuzione.

Infatti, anche la giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che la valutazione di disporre o meno la liberazione, presuppone l’esercizio di un potere discrezionale da parte del giudice dell’esecuzione, che è espressione dei suoi compiti di gestione del processo ed è funzionale alla realizzazione dello scopo del medisimo, ovvero quello della soddisfazione dei crediti del procedente e degli intervenuti mediante la vendita del bene pignorato, pertanto, il potere di adottare l’ordine di liberazione deve considerarsi funzionale allo scopo di realizzare un processo esecutivo effettivo ed efficace.

Nella specie, riteneva che la liberazione potesse assicurare una migliore conservazione dell’immobile a cura del custode giudiziario, nonché la facilitazione della vendita a prezzo di mercato, laddove, invece, lo stato di occupazione avrebbe potuto determinare nei potenziali acquirenti incertezza in ordine all’effettiva consegna nel caso di aggiudicazione.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale ordinava al debitore occupante di consegnare l’immobile al custode giudiziario e a quest’ultimo di darne attuazione.

Il Giudice ha disciplinato i seguenti aspetti correlati alla concreta esecuizione di tal provvedimento:

  1. a) tempo dell’attuazione;
  1. b) modalità dell’attuazione;
  1. c) beni mobili.

In particolare, il giudicante ha ordinato alla forza pubblica di prestare assistenza e ausilio al custode giudiziario per le attività di liberazione dell’immobile pignorato e per l’effetto ha disposto:

il custode giudiziario comunichi agli organi della forza pubblica competenti per territorio la necessità di intervento per la liberazione dell’immobile;

gli agenti della forza pubblica siano presenti alla data e all’ora fissate (eventualmente concordate) e, su richiesta del custode giudiziario, provvedano a vincere le resistenze degli occupanti nonché, avvalendosi delle proprie prerogative e se necessario della forza, ad accompagnarli al di fuori dell’immobile;

gli agenti della forza pubblica, su richiesta del custode giudiziario, prestino altresì la loro assistenza alle ulteriori operazioni di liberazione (a titolo esemplificativo: sostituzione delle serrature, perlustrazione dei luoghi, inventario dei beni mobili rinvenuti, verbalizzazione, ecc.) sino alla loro conclusione.

Nel contempo il Giudice ha autorizzato il il custode giudiziario ad avvalersi di vari possbili ausiliari (fabbro; medico legale; servizi sociali; accalappiacani; medico veterinario) disponendo quanto segue:

– il medico legale verifichi, su eventuale richiesta del custode giudiziario, la necessità di ricovero delle persone occupanti l’immobile presso strutture sanitarie;

– i servizi sociali siano presenti, su eventuale richiesta del custode giudiziario, al momento delle operazioni di liberazione per l’adozione dei provvedimenti di propria competenza ai sensi dell’art. 403 cod. civ.;

– il medico veterinario verifichi, su eventuale richiesta del custode giudiziario, lo stato degli animali presenti nell’immobile e chiarisca la possibilità di smaltimento in caso di mancato asporto (vendita; macellazione; donazione; ecc.).

Per ulteriori approfondimenti si rinvia al seguente contributo pubblicato in Rivista:

ASTE: LA DISERZIONE FA PRESUMERE CHE L’OCCUPAZIONE DEL BENE OSTACOLI LA REALIZZAZIONE DEL GIUSTO PREZZO

IL CREDITORE PUÒ FARE ISTANZA AL GE PER OTTENERE ORDINE DI LIBERAZIONE IN OGNI MOMENTO DELLA PROCEDURA

Ordinanza | Tribunale di Napoli, Dott. Roberto Peluso | 03.11.2015 |


 

RESPONSABILITA NOTAIO: sussiste in caso di falsa identità nel mutuatario

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm 

È propria del notaio la responsabilità di identificare i soggetti che presenziano ad un atto a proprio rogito.

A tal fine, non è sufficiente la verifica fondata sul solo documento d’identità esibito dalla parte (in particolare la sola carta di identità senza esibizione di un secondo documento di identità).

Il notaio, infatti, quale pubblico ufficiale accertante, ha comunque l’obbligo di acquisire tutti gli elementi e le informazioni che ritenga utili e necessari per giungere ad un giudizio di certezza sull’identità delle parti, secondo l’elevato grado di diligenza professione richiesto ad un tale professionista, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c..

L’espletamento da parte dalla banca di una precedente attività istruttoria in ordine al mutuo ed alla ammissione della pratica, che avrebbe ingenerato un affidamento nel professionista, non può essere motivo esonero per il pubblico ufficiale dall’obbligo di identificazione delle parti. Pertanto il notaio responsabile non può rivalersi in via riconvenzionale nei confronti della banca mutuante.

Alla luce della diligenza richiesta al notaio rogante un contratto di mutuo, e diretta all’accertamento anche dell’identità delle parti, il pubblico ufficiale è tenuto alla acquisizione diretta delle relative certificazioni presso i rispettivi uffici competenti, non potendosi lo stesso limitare ad utilizzare la documentazione consegnatagli dal mutuatario.

L’entità del danno cagionato alla banca creditrice va individuata nell’importo pari al controvalore monetario del credito vantato in virtù del contratto di mutuo nullo, in quanto la pronuncia di nullità, per inesistenza del mutuatario, impedisce di agire in executivis.

Questi i principi espressi dal Tribunale di Torre Annunziata, in persona della dott.ssa Luisa Zicari, con sentenza n. 1043 del 10.04.2017..

Nella fattispecie in questione, una banca proponeva azione di risarcimento nei confronti di un notaio – sul presupposto della responsabilità professionale di quest’ultimo – che aveva rogato un contratto di mutuo fondiario tra essa mutuante ed un mutuatario, poi risultato soggetto inesistente.

In particolare, a garanzia del mutuo concesso, l’istituto aveva iscritto ipoteca sull’immobile che il notaio nella relazione finale aveva dichiarato essere di proprietà del mutuatario, nonché libero da spese e trascrizioni pregiudizievoli.

Successivamente la banca, nel tentativo di notificare atto di precetto alla parte mutuataria che nel frattempo si era resa inadempiente, era venuta a conoscenza dell’inesistenza anagrafica dello stesso, per cui citava in giudizio il professionista che aveva erroneamente identificato il soggetto debitore, lamentando il mancato uso da parte di questo della diligenza professionale qualificata ex art. 1176, secondo comma c.c..

Il notaio convenuto si costituiva, sottolineando di aver adempiuto all’onere di identificazione del mutuatario con la diligenza professionale posta a suo carico, avendo visionato la carta di identità del mutuatario e richiesto al medesimo i certificati relativi al suo status familiare estratti dal competente ufficio anagrafe. Aggiungeva, inoltre, che il mutuatario era stato presentato da una società di intermediazione creditizia – che provvedeva a chiamare in giudizio in manleva, unitamente all’incaricato di quest’ultima – e che la banca mutuante aveva svolto una preliminare istruttoria sulla identità del soggetto.

Proprio sul presupposto di aver fatto “affidamento” – tra l’altro – sull’istruttoria espletata dall’istituto di credito, il notaio proponeva domanda riconvenzionale nei confronti della banca, della società intermediaria chiamata in giudizio e della persona fisica che aveva agito per conto di quest’ultima.

Sciolte le questioni preliminari, il Tribunale adito, in primo luogo, richiamava la normativa di settore, e precisamente l’art.49 della legge sull’ordinamento del notariato (L. n. 89/1913), a mente del quale “il notaio deve essere certo dell’identità personale delle parti e può raggiungere tale certezza, anche al momento della attestazione, valutando tutti gli elementi atti a formare il suo convincimento. In caso contrario il notaio può avvalersi di due fidefacienti da lui conosciuti, che possono essere anche i testimoni”.

La “certezza” che il professionista rogante deve raggiungere, non è già di natura personale (dovuta a una conoscenza pregressa del soggetto), ma, piuttosto, uno stato soggettivo raggiunto al momento dell’attestazione. In altri termini – proseguiva il giudice campano – “la certezza richiesta dalla norma è […] una certezza relativa e non una realtà ontologica”.

Non stabilendo la norma un espresso “protocollo di identificazione”, essa va letta in combinato disposto con il canone della “diligenza qualificata”, ovverosia quella “particolare diligenza” di cui all’art. 1176, secondo comma, c.c., che deve assistere l’attività del professionista nell’adempimento della propria prestazione.

In tal senso, la disposizione codicistica prescrive che “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.

Orbene è indubbio – come peraltro ribadito nella sentenza in commento – che, tra il notaio e le parti dell’atto notarile, si instaura un rapporto di prestazione d’opera professionale, dal quale scaturisce la fondamentale obbligazione di porre in essere tutti gli accorgimenti idonei a conseguire, con pienezza e stabilità di effetti, il regolamento di interessi voluto dalle parti.

Tale considerazione si lega anche ad altra importante conseguenza in termini di prescrizione del diritto al risarcimento: qualificando la responsabilità del notaio in termini contrattuali, il termine va stabilito in quello ordinario decennale (altro tema, fuori dal contesto della pronuncia qui in esame, è quello della decorrenza del dies a quo, che per la banca creditrice non può che decorrere dal momento – inevitabilmente successivo – in cui la stessa venga a conoscenza del “vizio” che inficia la propria garanzia ipotecaria).

Così chiarite le premesse normative della questione, il tribunale passava a “riempire” di contenuto – con riferimento alle peculiarità del caso di specie – il generale canone di “particolare diligenza”.

In tal senso, preliminarmente richiamava la “consolidata giurisprudenza” che ritiene insufficiente (e quindi non diligente) il riscontro compiuto tramite un solo documento o sulla base di accertamenti compiuti “da soggetti terzi”, non dovendosi confondere l’attività di autenticazione con la mera identificazione”, essendo quindi necessario l’ausilio di un secondo documento di riconoscimento e/o della presenza di soggetti fidefacenti.

Ebbene, nel caso in esame – rilevava il giudice – il notaio non aveva sufficientemente assolto alla propria prestazione professionale identificativa, basandosi sulla sola carta d’identità fornita dal soggetto mutuatario e su certificati anagrafici da quest’ultimo forniti (e peraltro privi del timbro del comune).

Infatti – proseguiva – “anche qualora il documento non presenti segni evidenti di alterazione non è agevole verificarne l’eventuale falsità atteso il diffuso fenomeno di falsificazione dei documenti e, pertanto, il notaio, quale pubblico ufficiale accertante, ha comunque l’obbligo di accertare l’identità delle parti acquisendo tutti gli elementi e le informazioni che ritenga utili e necessari per giungere ad un giudizio di certezza secondo l’elevato grado di diligenza professione richiesto ad un tale professionista, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c.”.

La stessa Suprema Corte aveva peraltro già chiarito che la carta di identità sia, a tali fini, documento non sufficiente “trattandosi del resto di documentazione a fini di polizia, privo di forza certificatrice generale” (Cfr. Cass. 15.5.86 n. 3274).

Né risultava provato quanto dedotto dal notaio circa la asserita consultazione di “ben due documenti di riconoscimento”, non potendo peraltro attribuirsi tale valore – secondo la stringente definizione fornita dall’art. 1 lett. d) del DPR 445/ 2000 – al certificato di attribuzione del codice fiscale.

Il tribunale rilevava – infine – che anche gli altri certificati richiesti al mutuatario ed acquisiti dal notaio, peraltro in sola copia, presentavano seri dubbi di genuinità, “che non potevano trarre in inganno l’occhio esperto di un professionista”.

Si trattava, nella specie, di certificazioni anagrafiche di dubbia data e mancanti del timbro (stampato o a secco) recante nome e cognome del funzionario dell’ufficio anagrafe del Comune.

Alla luce di tali incongruenze e della considerazione che il Notaio ha accesso privilegiato all’ufficio anagrafe, il giudice riteneva il professionista non esonerato dall’onere di compiere le necessarie ricerche anagrafiche, piuttosto che limitarsi ad utilizzare la documentazione consegnatagli dal mutuatario, di fatto inidonea – in concreto – a conferire quel grado di certezza nell’identificazione richiesto al pubblico ufficiale.

Infine, relativamente al dedotto espletamento da parte dalla Banca di una precedente attività istruttoria in ordine al mutuo ed alla ammissione della pratica, che avrebbe ingenerato un affidamento nel professionista, il Giudicante affermava che detta attività doveva considerarsi perlopiù diretta alla stima dell’immobile e in ogni caso che la stessa “non può determinare un esonero per il pubblico ufficiale dell’obbligo di identificazione delle parti”.

Alla luce di tali presupposti, il Tribunale di Torre Annunziata riteneva che il comportamento del professionista non potesse essere qualificato come diligente, avendo lo stesso accertato l’identità della parte in modo approssimativo e non conforme ai canoni normativi e giurisprudenziali, ed – in merito alla domanda riconvenzionale promossa nei confronti della banca – alcuna responsabilità poteva attribuirsi all’istituto di credito, statuendo il principio per il quale “è propria del notaio la responsabilità di identificare i soggetti che presenziano ad un atto a proprio rogito” e che in buona sostanza si tratta di una responsabilità del notaio prevista espressamente dalla legge”, avuto riguardo alla disposizione di cui all’art. 49 della legge professionale.

Il Tribuale condannava, pertanto, il notaio al risarcimento dei danni subiti dall’istituto di credito, liquidandoli – con principio altrettanto degno di nota – nell’intero importo dovuto dal debitore “inesistente” in virtù del contratto di mutuo da ritenersi nullo, atteso che la prestazione professionale “indiligente” aveva determinato, di fatto, la perdita della garanzia ipotecaria e, più in generale, della possibilità di agire in executivis.

Per ulteriori approfondimenti, si rinvia ai seguenti provvedimenti pubblicati in Rivista:

RESPONSABILITA’ NOTAIO: IL DOVERE DI DILIGENZA NON SI ESAURISCE NELLA CONSULTAZIONE CARTA DI IDENTITÀ

LA BANCA NON HA L’OBBLIGO DI SVOLGERE L’ACCERTAMENTO IDENTIFICATIVO IMPOSTO AL NOTAIO AL MOMENTO DEL ROGITO

Sentenza | Tribunale di Pescara, Dott. Sergio Casarella | 02.09.2015 | n.1476 

MUTUO: USI CIVICI SULL’IMMOBILE IPOTECATO, NOTAIO CONDANNATO

IL PUBBLICO UFFICIALE È NEGLIGENTE SE NON CONSULTA TUTTE LE BANCHE DISPONIBILI

Sentenza | Tribunale di Napoli, Dott. Francesco Graziano | 03.10.2016 | n.10660

RESPONSABILITÀ NOTAIO NEL MUTUO IPOTECARIO: INADEMPIENTE SE OMETTE DI ACCERTARE L’ESISTENZA DI VINCOLI ARCHEOLOGICI

NELLA RELAZIONE PRELIMINARE DEVE INFORMARE NECESSARIAMENTE LA BANCA MUTUANTE
Sentenza | Cassazione civile, sez. seconda, Pres. Bucciante – Rel. Scarpa | 09.05.2016 | n.9320


 

OPPOSIZIONE DECRETO INGIUNTIVO: la domanda va rigettata in mancanza di una specifica contestazione

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

L’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve verificare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre l’opponente, il quale assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l’onere di contestare il diritto azionato con il ricorso monitorio, facendo valere l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l’esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto.

Le risultanze dell’estratto di conto corrente allegate a sostegno della domanda di pagamento dei saldi, legittimano l’emissione di decreto ingiuntivo e, nell’eventuale giudizio di opposizione, hanno efficacia fino a prova contraria, potendo essere disattese solo in presenza di circostanziate contestazioni, non già attraverso il mero rifiuto del conto o la generica affermazione di nulla dovere.

In materia di ingiunzione civile e di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opponente ha l’onere di specifica contestazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 115 c.p.c., nella formulazione applicabile ratione temporis; in mancanza l’opposizione va rigettata.

Questi i principi espressi dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Dott.ssa Luigia Franzese, con la sentenza n. 213 del 23.01.2017.

Nella fattispecie in questione, una società correntista proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con cui era stato ingiunto a quest’ultima il pagamento in favore della Banca di una ingente somma, lamentando la nullità del decreto ingiuntivo opposto, in quanto notificato ad un soggetto sfornito di facoltà, la mancanza di adeguata documentazione comprovante l’esistenza del credito azionato dalla controparte, l’applicazione indebita di interessi anatocistici ed usurari e chiedendo la revoca del provvedimento ed in via riconvenzionale, la restituzione delle somme indebitamente corrisposte all’Istituto di credito.

La Banca si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda, in quanto infondata in fatto ed in diritto.

Il Tribunale campano osservava, preliminarmente, che l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice è chiamato a valutare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre l’opponente, che assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l‘onere di contestare il diritto azionato con il ricorso monitorio, facendo valere l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l’esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto.

Il Giudice, quindi, rigettava l’eccezione di nullità del decreto ingiuntivo sollevata da parte opponente, rilevando che la società, pur in liquidazione, era ancora esistente, come dimostrato dalla costituzione in giudizio, in persona del liquidatore e sottolineando il fatto che, a fronte della produzione in giudizio da parte dell’Istituto di credito degli estratti conto ricostruttivi dell’intero rapporto, l’opponente aveva omesso di contestare in modo specifico sia la pretesa creditoria, sia le risultanze degli estratti conto prodotti in atti.

Ed, in effetti, secondo un orientamento consolidato nella giurisprudenza maggioritaria, le risultanze dell’estratto di conto corrente allegate a sostegno della domanda di pagamento dei saldi, legittimano l’emissione di decreto ingiuntivo e, nell’eventuale giudizio di opposizione, hanno efficacia fino a prova contraria, potendo essere disattese solo in presenza di circostanziate contestazioni, non già attraverso il mero rifiuto del conto o la generica affermazione di nulla dovere.

In ordine alle censure in punto di anatocismo, il Tribunale rilevava che i contratti, stipulati successivamente alla delibera CICR del 2000, contemplavano legittimamente la capitalizzazione trimestrale degli interessi, sia attivi, che passivi, in condizione di pariteticità tra le parti.

Infine, in relazione alle contestazioni mosse in materia di usura, il Giudice ribadiva che grava sul debitore ingiunto che eccepisce l’illegittimità dell’addebito di interessi usurari da parte della Banca, l’onere di indicazione specifica del periodo in cui si sarebbero verificate le operazioni usurarie.

Alla luce di quanto esposto, il Tribunale rigettava la domanda, confermando e dichiarando esecutivo il decreto ingiuntivo opposto con condanna alle spese.

Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:

OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO: LE CONTESTAZIONI DEVONO ESSERE SPECIFICHE E DETERMINATE

TALE LACUNA NON PUÒ ESSERE COLMATA CON L’ESPERIMENTO DI C.T.U., CHE AVREBBE NATURA MERAMENTE ESPLORATIVA
Sentenza | Tribunale di Torino, Dott.ssa Maurizia Giusta | 19.09.2016 | n.4499

OPPOSIZIONE A D.I.: IL CORRENTISTA-INGIUNTO DEVE MUOVERE OBIEZIONI SPECIFICHE E PRECISE

IN MANCANZA, LA CTU NON PUÒ ESSERE AMMESSA IN QUANTO AVENTE FINALITÀ PURAMENTE ESPLORATIVE

Sentenza | Tribunale di Roma, Dott. Tommaso Marvasi | 22.06.2016 | n.12714


 

 

ATP: inammissibile se volto alla determinazione degli interessi usurari

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

E’ inammissibile l’accertamento tecnico preventivo volto alla determinazione degli interessi usurari od avente ad oggetto la nullità di contratti conclusi in violazione di norme imperative.

Nell’ipotesi di rapporti bancari e di lamentata applicazione di interessi illegittimi, deve essere esclusa la possibilità di dare luogo ad una CTU contabile volta a verificare ciò che solo in via dubitativa una parte lamenti contro l’altra, essendo evidente che in tale modo lo strumento tecnico verrebbe asservito a finalità esplorative.

In caso di decisa contestazione sull’“an” della avversa pretesa, è inammissibile il ricorso al procedimento ex art. 696 bis c.p.c. atteso che in tal caso è del tutto inverosimile la eventuale conciliazione della lite, finalità che costituisce la ragion d’essere dell’ATP.

Questo il principio espresso dal Tribunale di Brindisi, Dott. Alfonso Orazio Maria Pappalardo con ordinanza del 07.04.2017.

Nel caso considerato, un correntista conveniva in giudizio la Banca, proponendo ricorso ex art 696 bis c.p.c., onde ottenere l’accertamento e la quantificazione delle somme che quest’ultima era tenuta a restituire allo stesso, in virtù della lamentata applicazione di interessi usurari al rapporto di conto corrente.

Si costitutiva la Banca contestando l’ammissibilità della domanda di accertamento, sulla base del rilievo per cui le questioni sollevate avrebbero necessitato di approfondimento in un giudizio a cognizione piena in quanto preliminari al conferimento di qualsivoglia incarico peritale.

Il Tribunale adito dichiarava di aderire all’orientamento giurisprudenziale per il quale, il procedimento ex art. 696 bis c.p.c., è esperibile solo quando l’incarico peritale sia idoneo a risolvere la controversia sull’”an” e sul “quantum“, ossia soltanto qualora gli accertamenti abbiano un elevato grado di fattualità, quindi, lo stesso deve dirsi inammissibile quando la decisione della controversia richieda la soluzione di questioni complesse.

Sottolineava, inoltre, che nell’ipotesi di rapporti bancari e di asserita applicazione di interessi illegittimi, doveva escludersi la possibilità di dare luogo ad una CTU contabile volta a verificare ciò, che solo in via dubitativa, una parte lamentava contro l’altra, atteso che in tali casi lo strumento tecnico avrebbe assunto finalità esplorative.

Nella specie, il Giudicante rilevava che i quesiti da porre al CTU avevano ad oggetto complesse e non pacifiche questioni di natura prettamente giuridica, attinenti, in particolare, alla interpretazione del contratto concluso dalle parti ed alla corretta applicazione di norme imperative e, pertanto, non poteva ammettersi lo strumento dell’ATP, con la probabile conseguenza che, poi, il giudice di merito avrebbe potuto non condividere le motivazioni giuridiche poste a fondamento dei quesiti posti al perito.

Infine, marcava la rilevante prevalenza delle finalità conciliative e deflattive del contenzioso dello strumento previsto dall’art. 696 bis c.p.c., ritenendo che nel caso di specie la decisa e radicale contestazione da parte dell’istituto di credito delle pretese del correntista non rendeva possibile l’eventuale conciliazione della lite.

Alla luce di tali considerazioni dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente al rimborso delle spese di lite.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti provvedimenti pubblicati:

ATP EX ART. 696 BIS CPC: INAMMISSIBILE PER ACCERTARE LA NULLITÀ DELLE CLAUSOLE CONTRATTUALI

LE QUESTIONI CONTROVERSE TRA LE PARTI NON DEVONO IMPLICARE VALUTAZIONI RISERVATE AL GIUDICE DEL MERITO

Ordinanza | Tribunale di Salerno, Dott.ssa Rosa Sergio | 03.04.2017 |

ATP: INAMMISSIBILE PER LA SOLUZIONE DI QUESTIONI GIURIDICHE ESTRANEE ALL’AMBITO DI INDAGINI DI NATURA TECNICA

SE IL GIUDICE DICHIARA INAMMISSIBILE LA CONSULENZA DEVE CONDANNARE ALLE SPESE LA PARTE ISTANTE

Ordinanza | Tribunale di Napoli Nord, Dott.ssa Valeria Rosetti | 02.03.2017 |

ATP: INAMMISSIBILE SE TESO AD ACCERTARE LA SUSSISTENZA DELL’INADEMPIMENTO O DEL FATTO ILLECITO

TALI QUESTIONI GIURIDICHE DEVONO NECESSARIAMENTE ESSERE DEVOLUTE ALLA VALUTAZIONE DEL GIUDICE

Ordinanza | Tribunale di Massa, Dott. Paolo Puzone | 15.02.2017 |

ATP EX ART.696 BIS CPC: inammissibile per accertare la nullità delle clausole contrattuali

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm 

E’ inammissibile il ricorso ex art. 696 bis c.p.c. teso ad accertare la nullità delle clausole di un contratto di mutuo ove la banca contesti in radice la sussistenza di tutte le illiceità denunziate atteso che in tal caso è necessario preventivamente deliberare in ordine a questioni preliminari di merito che devono essere affrontate in un giudizio a cognizione piena.

Questo il principio espresso dal Tribunale di Salerno, Dott.ssa Rosa Sergio, con ordinanza del 03.04.2017.

Nel caso in oggetto, un mutuatario conveniva in giudizio la Banca, proponendo ricorso ex art 696 bis c.p.c., onde ottenere l’accertamento della corrispondenza, o meno, dell’ISC indicato nel contratto, rispetto al tasso effettivamente applicato in concreto e, nel caso in cui quest’ultimo fosse risultato superiore a quello pattuito, il ricalcolo del piano di ammortamento del mutuo, applicando all’intero finanziamento, ai sensi dell’art. 117 comma 7 T.U.B., un tasso pari al rendimento minimo del BOT registrato nei 12 mesi precedenti la conclusione del contratto, e di conseguenza la quantificazione degli importi versati in eccedenza, calcolati come differenza tra le rate effettivamente corrisposte e le rate in tale modo determinate, nonché l’importo di quelle future.

Si costitutiva la Banca contestando la sussistenza della divergenza lamentata da controparte, l’erroneità della sanzione richiamata ed eccependo l’inammissibilità del ricorso sulla base del rilievo per cui le questioni sollevate avrebbero necessitato di approfondimento in un giudizio a cognizione piena in quanto preliminari al conferimento di qualsivoglia incarico peritale.

Aderendo alle difese dell’istituto di credito, il Tribunale adito sottolineava da un lato la rilevante prevalenza delle finalità conciliative e deflattive del contenzioso dello strumento previsto dall’art. 696 bis c.p.c., e dall’altro affermava che per il suo utilizzo era pur sempre necessario che:

a) tale strumento fosse almeno potenzialmente idoneo ad accertare i fatti e, nella fattispecie, la determinazione del rapporto debito-credito derivanti dalla pretesa inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali;

b) la possibilità che l’accertamento fosse effettuabile sulla base degli elementi disponibili e senza necessità di espletamento di attività istruttorie ulteriori rispetto alla C.T.U.;

c) che le questioni controverse tra le parti non implicassero valutazioni riservate al giudice del merito.

Rilevava, pertanto, che qualora l’accertamento tecnico preventivo, non avesse semplicemente ad oggetto la verifica della documentazione prodotta dalla parte, ma la risoluzione di questioni controverse riservate al giudice del merito, non poteva ricorrersi a tale strumento, atteso che spetta a detto giudice, in sede di valutazioni preliminari di merito, in presenza di contestazioni radicali dell’ altrui pretesa, individuare gli oneri e le spese da includere od escludere nel computo ovvero i tassi effettivamente applicabili, e deliberare in ordine alla eccepita nullità di clausole contrattuali.

Alla luce di tali considerazioni il giudice dichiarava l’inammissibilità del ricorso.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti provvedimenti:

ATP: INAMMISSIBILE PER LA SOLUZIONE DI QUESTIONI GIURIDICHE ESTRANEE ALL’AMBITO DI INDAGINI DI NATURA TECNICA

SE IL GIUDICE DICHIARA INAMMISSIBILE LA CONSULENZA DEVE CONDANNARE ALLE SPESE LA PARTE ISTANTE

Ordinanza | Tribunale di Napoli Nord, Dott.ssa Valeria Rosetti | 02.03.2017 |

ATP: INAMMISSIBILE SE TESO AD ACCERTARE LA SUSSISTENZA DELL’INADEMPIMENTO O DEL FATTO ILLECITO

TALI QUESTIONI GIURIDICHE DEVONO NECESSARIAMENTE ESSERE DEVOLUTE ALLA VALUTAZIONE DEL GIUDICE

Ordinanza | Tribunale di Massa, Dott. Paolo Puzone | 15.02.2017 |

ATP: INAMMISSIBILE SE FINALIZZATO ALL’ACCERTAMENTO DELL’USURA, DI PRETESE RESTITUTIVE O DI NON DEBENZA

TALI QUESTIONI PRESUPPONGONO VALUTAZIONI INDEBITAMENTE ANTICIPATORIE DI UN GIUDIZIO DI MERITO

Ordinanza | Tribunale di Napoli, Dott.ssa Fausta Como | 20.02.2017 |


 

 

PROTESTO ASSEGNI: non dovuto alcun preavviso al traente in caso di pignoramento notificato da terzi

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

E’ legittimo il comportamento della Banca trattaria la quale, a fronte dell’azzeramento della provvista in giacenza sul c.c., in conseguenza di un pignoramento notificatole dal terzo creditore della società traente, proceda tempestivamente a far elevare il protesto, senza che incomba sulla stessa alcun onere di preavviso alla cliente.

E’ onere della società traente assicurare la permanenza della provvista in vista dell’incasso, soprattutto la stessa aveva da tempo ricevuto la notifica del precetto.

Questi i principi espressi dal Tribunale di Cassino, Dott. Gabriele Sordi con l’ordinanza del 15.02.2017.

Nel caso di specie, una società-cliente aveva adito in via d’urgenza l’autorità giudiziaria per chiedere l’immediata cancellazione della segnalazione effettuata dalla Banca nel Registro Protesti della C.C.I.A.A. provinciale, in riferimento a n. 3 assegni bancari emessi sul conto corrente con la stessa intrattenuto.

In particolare, la società traente contestava il comportamento dell’istituto di credito il quale, in conseguenza del pignoramento notificatole dal terzo creditore della stessa, aveva proceduto all’ elevazione del protesto su detti titoli mancando di contattare la cliente, al fine di avvisarla che, in ragione dell’atto notificatole, non avrebbe provveduto a pagare i tre assegni ricevuti.

Il Tribunale di Cassino, ritenuta l’insussistenza dei presupposti per la concessione del provvedimento cautelare inaudita altera parte, fissava l’udienza per la comparizione delle parti.

Si costituiva in giudizio la Banca, sostenendo la legittimità del proprio operato, non incombendo sulla stessa alcun obbligo di comunicazione al cliente in ipotesi di notifica del pignoramento presso terzi, e rilevando, altresì, che già all’atto dell’emissione degli assegni – precedente alla notifica del pignoramento – non sussisteva la provvista per il pagamento degli stessi.

Il giudicante, ha considerato perfettamente legittimo il comportamento della Banca la quale, a fronte dell’azzeramento della provvista in giacenza sul c.c. in conseguenza del pignoramento notificatole, ha dovuto come per legge procedere tempestivamente a far elevare il protesto, senza che le incombesse per legge alcun onere di preavviso alla cliente, rilevando che era onere della società traente assicurare la permanenza di detta provvista in vista dell’incasso, essendo la notificazione del pignoramento pervenuta alla Banca trassata l’indomani rispetto al giorno di traenza e, dunque, in anticipo rispetto alla richiesta della compensazione bancaria, mentre la società pignorata aveva da tempo ricevuto la notifica del precetto.

Il Tribunale ha, inoltre, sottolineato che la differente disciplina normativa in merito ai tempi per poter ottenere la cancellazione del protesto per il mancato pagamento della cambiale rispetto a quello dell’assegno è giustificata dalla diversa funzione dei differenti titoli, il secondo essendo strumento di pagamento piuttosto che di credito, con il non casuale differente corredo sanzionatorio.

Sulla base dei suesposti rilievi il giudice si è pronunciato per il rigetto del ricorso, disponendo la   compensazione delle spese di lite, avendo la società ricorrente provveduto a saldare gli importi e gli accessori di legge e ritenendo plausibile che essa, pur avendo ricevuto la notifica del precetto, confidasse in una soluzione transattiva con il creditore pignorante.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia al seguente contributo pubblicato in Rivista:

PROTESTO ASSEGNI: LA BANCA NON DEVE AVVERTIRE IL CLIENTE

IL CORRENTISTA NON HA DIRITTO AD ALCUN PREVENTIVO AVVISO PRIMA DEL PROTESTO

Cassazione civile, sezione terza 12-02-2013 n.3286