Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm
È propria del notaio la responsabilità di identificare i soggetti che presenziano ad un atto a proprio rogito.
A tal fine, non è sufficiente la verifica fondata sul solo documento d’identità esibito dalla parte (in particolare la sola carta di identità senza esibizione di un secondo documento di identità).
Il notaio, infatti, quale pubblico ufficiale accertante, ha comunque l’obbligo di acquisire tutti gli elementi e le informazioni che ritenga utili e necessari per giungere ad un giudizio di certezza sull’identità delle parti, secondo l’elevato grado di diligenza professione richiesto ad un tale professionista, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c..
L’espletamento da parte dalla banca di una precedente attività istruttoria in ordine al mutuo ed alla ammissione della pratica, che avrebbe ingenerato un affidamento nel professionista, non può essere motivo esonero per il pubblico ufficiale dall’obbligo di identificazione delle parti. Pertanto il notaio responsabile non può rivalersi in via riconvenzionale nei confronti della banca mutuante.
Alla luce della diligenza richiesta al notaio rogante un contratto di mutuo, e diretta all’accertamento anche dell’identità delle parti, il pubblico ufficiale è tenuto alla acquisizione diretta delle relative certificazioni presso i rispettivi uffici competenti, non potendosi lo stesso limitare ad utilizzare la documentazione consegnatagli dal mutuatario.
L’entità del danno cagionato alla banca creditrice va individuata nell’importo pari al controvalore monetario del credito vantato in virtù del contratto di mutuo nullo, in quanto la pronuncia di nullità, per inesistenza del mutuatario, impedisce di agire in executivis.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Torre Annunziata, in persona della dott.ssa Luisa Zicari, con sentenza n. 1043 del 10.04.2017..
Nella fattispecie in questione, una banca proponeva azione di risarcimento nei confronti di un notaio – sul presupposto della responsabilità professionale di quest’ultimo – che aveva rogato un contratto di mutuo fondiario tra essa mutuante ed un mutuatario, poi risultato soggetto inesistente.
In particolare, a garanzia del mutuo concesso, l’istituto aveva iscritto ipoteca sull’immobile che il notaio nella relazione finale aveva dichiarato essere di proprietà del mutuatario, nonché libero da spese e trascrizioni pregiudizievoli.
Successivamente la banca, nel tentativo di notificare atto di precetto alla parte mutuataria che nel frattempo si era resa inadempiente, era venuta a conoscenza dell’inesistenza anagrafica dello stesso, per cui citava in giudizio il professionista che aveva erroneamente identificato il soggetto debitore, lamentando il mancato uso da parte di questo della diligenza professionale qualificata ex art. 1176, secondo comma c.c..
Il notaio convenuto si costituiva, sottolineando di aver adempiuto all’onere di identificazione del mutuatario con la diligenza professionale posta a suo carico, avendo visionato la carta di identità del mutuatario e richiesto al medesimo i certificati relativi al suo status familiare estratti dal competente ufficio anagrafe. Aggiungeva, inoltre, che il mutuatario era stato presentato da una società di intermediazione creditizia – che provvedeva a chiamare in giudizio in manleva, unitamente all’incaricato di quest’ultima – e che la banca mutuante aveva svolto una preliminare istruttoria sulla identità del soggetto.
Proprio sul presupposto di aver fatto “affidamento” – tra l’altro – sull’istruttoria espletata dall’istituto di credito, il notaio proponeva domanda riconvenzionale nei confronti della banca, della società intermediaria chiamata in giudizio e della persona fisica che aveva agito per conto di quest’ultima.
Sciolte le questioni preliminari, il Tribunale adito, in primo luogo, richiamava la normativa di settore, e precisamente l’art.49 della legge sull’ordinamento del notariato (L. n. 89/1913), a mente del quale “il notaio deve essere certo dell’identità personale delle parti e può raggiungere tale certezza, anche al momento della attestazione, valutando tutti gli elementi atti a formare il suo convincimento. In caso contrario il notaio può avvalersi di due fidefacienti da lui conosciuti, che possono essere anche i testimoni”.
La “certezza” che il professionista rogante deve raggiungere, non è già di natura personale (dovuta a una conoscenza pregressa del soggetto), ma, piuttosto, uno stato soggettivo raggiunto al momento dell’attestazione. In altri termini – proseguiva il giudice campano – “la certezza richiesta dalla norma è […] una certezza relativa e non una realtà ontologica”.
Non stabilendo la norma un espresso “protocollo di identificazione”, essa va letta in combinato disposto con il canone della “diligenza qualificata”, ovverosia quella “particolare diligenza” di cui all’art. 1176, secondo comma, c.c., che deve assistere l’attività del professionista nell’adempimento della propria prestazione.
In tal senso, la disposizione codicistica prescrive che “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
Orbene è indubbio – come peraltro ribadito nella sentenza in commento – che, tra il notaio e le parti dell’atto notarile, si instaura un rapporto di prestazione d’opera professionale, dal quale scaturisce la fondamentale obbligazione di porre in essere tutti gli accorgimenti idonei a conseguire, con pienezza e stabilità di effetti, il regolamento di interessi voluto dalle parti.
Tale considerazione si lega anche ad altra importante conseguenza in termini di prescrizione del diritto al risarcimento: qualificando la responsabilità del notaio in termini contrattuali, il termine va stabilito in quello ordinario decennale (altro tema, fuori dal contesto della pronuncia qui in esame, è quello della decorrenza del dies a quo, che per la banca creditrice non può che decorrere dal momento – inevitabilmente successivo – in cui la stessa venga a conoscenza del “vizio” che inficia la propria garanzia ipotecaria).
Così chiarite le premesse normative della questione, il tribunale passava a “riempire” di contenuto – con riferimento alle peculiarità del caso di specie – il generale canone di “particolare diligenza”.
In tal senso, preliminarmente richiamava la “consolidata giurisprudenza” che ritiene insufficiente (e quindi non diligente) il riscontro “compiuto tramite un solo documento o sulla base di accertamenti compiuti “da soggetti terzi”, non dovendosi confondere l’attività di autenticazione con la mera identificazione”, essendo quindi necessario l’ausilio di un secondo documento di riconoscimento e/o della presenza di soggetti fidefacenti.
Ebbene, nel caso in esame – rilevava il giudice – il notaio non aveva sufficientemente assolto alla propria prestazione professionale identificativa, basandosi sulla sola carta d’identità fornita dal soggetto mutuatario e su certificati anagrafici da quest’ultimo forniti (e peraltro privi del timbro del comune).
Infatti – proseguiva – “anche qualora il documento non presenti segni evidenti di alterazione non è agevole verificarne l’eventuale falsità atteso il diffuso fenomeno di falsificazione dei documenti e, pertanto, il notaio, quale pubblico ufficiale accertante, ha comunque l’obbligo di accertare l’identità delle parti acquisendo tutti gli elementi e le informazioni che ritenga utili e necessari per giungere ad un giudizio di certezza secondo l’elevato grado di diligenza professione richiesto ad un tale professionista, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c.”.
La stessa Suprema Corte aveva peraltro già chiarito che la carta di identità sia, a tali fini, documento non sufficiente “trattandosi del resto di documentazione a fini di polizia, privo di forza certificatrice generale” (Cfr. Cass. 15.5.86 n. 3274).
Né risultava provato quanto dedotto dal notaio circa la asserita consultazione di “ben due documenti di riconoscimento”, non potendo peraltro attribuirsi tale valore – secondo la stringente definizione fornita dall’art. 1 lett. d) del DPR 445/ 2000 – al certificato di attribuzione del codice fiscale.
Il tribunale rilevava – infine – che anche gli altri certificati richiesti al mutuatario ed acquisiti dal notaio, peraltro in sola copia, presentavano seri dubbi di genuinità, “che non potevano trarre in inganno l’occhio esperto di un professionista”.
Si trattava, nella specie, di certificazioni anagrafiche di dubbia data e mancanti del timbro (stampato o a secco) recante nome e cognome del funzionario dell’ufficio anagrafe del Comune.
Alla luce di tali incongruenze e della considerazione che il Notaio ha accesso privilegiato all’ufficio anagrafe, il giudice riteneva il professionista non esonerato dall’onere di compiere le necessarie ricerche anagrafiche, piuttosto che limitarsi ad utilizzare la documentazione consegnatagli dal mutuatario, di fatto inidonea – in concreto – a conferire quel grado di certezza nell’identificazione richiesto al pubblico ufficiale.
Infine, relativamente al dedotto espletamento da parte dalla Banca di una precedente attività istruttoria in ordine al mutuo ed alla ammissione della pratica, che avrebbe ingenerato un affidamento nel professionista, il Giudicante affermava che detta attività doveva considerarsi perlopiù diretta alla stima dell’immobile e in ogni caso che la stessa “non può determinare un esonero per il pubblico ufficiale dell’obbligo di identificazione delle parti”.
Alla luce di tali presupposti, il Tribunale di Torre Annunziata riteneva che il comportamento del professionista non potesse essere qualificato come diligente, avendo lo stesso accertato l’identità della parte in modo approssimativo e non conforme ai canoni normativi e giurisprudenziali, ed – in merito alla domanda riconvenzionale promossa nei confronti della banca – alcuna responsabilità poteva attribuirsi all’istituto di credito, statuendo il principio per il quale “è propria del notaio la responsabilità di identificare i soggetti che presenziano ad un atto a proprio rogito” e che “in buona sostanza si tratta di una responsabilità del notaio prevista espressamente dalla legge”, avuto riguardo alla disposizione di cui all’art. 49 della legge professionale.
Il Tribuale condannava, pertanto, il notaio al risarcimento dei danni subiti dall’istituto di credito, liquidandoli – con principio altrettanto degno di nota – nell’intero importo dovuto dal debitore “inesistente” in virtù del contratto di mutuo da ritenersi nullo, atteso che la prestazione professionale “indiligente” aveva determinato, di fatto, la perdita della garanzia ipotecaria e, più in generale, della possibilità di agire in executivis.
Per ulteriori approfondimenti, si rinvia ai seguenti provvedimenti pubblicati in Rivista:
RESPONSABILITA’ NOTAIO: IL DOVERE DI DILIGENZA NON SI ESAURISCE NELLA CONSULTAZIONE CARTA DI IDENTITÀ
LA BANCA NON HA L’OBBLIGO DI SVOLGERE L’ACCERTAMENTO IDENTIFICATIVO IMPOSTO AL NOTAIO AL MOMENTO DEL ROGITO
Sentenza | Tribunale di Pescara, Dott. Sergio Casarella | 02.09.2015 | n.1476
MUTUO: USI CIVICI SULL’IMMOBILE IPOTECATO, NOTAIO CONDANNATO
IL PUBBLICO UFFICIALE È NEGLIGENTE SE NON CONSULTA TUTTE LE BANCHE DISPONIBILI
Sentenza | Tribunale di Napoli, Dott. Francesco Graziano | 03.10.2016 | n.10660
RESPONSABILITÀ NOTAIO NEL MUTUO IPOTECARIO: INADEMPIENTE SE OMETTE DI ACCERTARE L’ESISTENZA DI VINCOLI ARCHEOLOGICI
NELLA RELAZIONE PRELIMINARE DEVE INFORMARE NECESSARIAMENTE LA BANCA MUTUANTE
Sentenza | Cassazione civile, sez. seconda, Pres. Bucciante – Rel. Scarpa | 09.05.2016 | n.9320