Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm
Testo del provvedimento
Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm
Testo del provvedimento
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Testo massima
Testo del provvedimento
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Testo massima
Testo del provvedimento
Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm
Il Notaio pur essendo per legge tenuto allo svolgimento delle sue funzioni, in ragione della natura di servizio pubblico delle attività e prestazioni da esso eseguite, risponde a titolo di responsabilità contrattuale dell’eventuale inadempimento degli obblighi scaturenti dal contratto d’opera professionale stipulato con il cliente.
Il Notaio deve fare tutto quanto è dovuto al fine di redigere un atto da cui risulti effettivamente la liberazione da ogni vincolo dell’immobile oggetto della compravendita, ossia è il Notaio e non altri a dovere rispondere del suo inadempimento.
Dall’art. 1176, II co., c.c., consegue che l’opera professionale del Notaio non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione nella compilazione dell’atto, ma si estende alle attività preparatorie e successive perché sia assicurata la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto e del risultato pratico perseguito dalle parti.
In caso di omessa rilevazione di una formalità pregiudizievole è possibile conseguire la condanna al risarcimento in forma specifica, con ordine del Notaio alla relativa cancellazione della formalità non rilevata.
Questi principi espressi dal Tribunale di Napoli, Dott.ssa Renata Palmieri, con la sentenza n. 1007 del 21.01.2015.
L’acquirente di un immobile proponeva azione di risarcimento danni per responsabilità professionale nei confronti del Notaio rogante l’atto di vendita, atteso che, lo stesso, aveva omesso di rilevare che il cespite oggetto di stipula, era in realtà gravato da un’ipoteca giudiziale, pertanto, lamentava la violazione degli artt. 1176 comma 2 e 2236 c.c. da parte del professionista.
Il Notaio convenuto si costituiva in giudizio, contestando la fondatezza della domanda attorea, chiedendo di essere autorizzato a chiamare in causa la compagnia assicurativa con la quale aveva stipulato una polizza per la responsabilità civile.
Si costituiva, quindi, la compagnia chiamata in causa, eccependo tre l’altro l’infondatezza dell’azione, nonché l’inoperatività della garanzia per essere state omesse nel caso specifico le visure ipotecarie.
Il Tribunale adito sottolineava come, già da tempo, la giurisprudenza di legittimità avesse chiarito che il Notaio, pur essendo per legge tenuto allo svolgimento delle sue funzioni, in ragione della natura di servizio pubblico delle attività e prestazioni da esso eseguite, rispondesse a titolo di responsabilità contrattuale dell’eventuale inadempimento degli obblighi scaturenti dal contratto d’opera professionale stipulato con il cliente.
Il professionista, infatti, è tenuto a svolgere ex art. 1176 c.c. secondo comma, la sua attività utilizzando la diligenza ordinaria media, rapportata alla natura della prestazione.
Tale normativa va ad integrare il contratto d’opera professionale operante tra il Notaio e il cliente, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1374 c.c., ponendo a carico del professionista rogante una serie di obblighi accessori, che pur non espressamente previsti dal contratto, scaturiscono, proprio, dal dovere di agire secondo diligenza.
Quindi, dall’obbligo posto dall’art. 1176 c.c. secondo comma, consegue che l’opera professionale del Notaio non può ridursi ad un mero accertamento della volontà delle parti e direzione delle stesse nella compilazione dell’atto, ma si deve estendere anche alle attività preparatorie e successive perché sia assicurata la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto e del risultato pratico perseguito dalle parti.
Pertanto, quand’anche il Notaio sia stato esonerato dalle visure, essendo comunque tenuto all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata e della buona fede, qualora non osservi i suddetti obblighi, risponde “ex contractu”.
Nella specie, il giudicante, dal momento che riteneva pienamente provata dalla documentazione allegata dall’acquirente, l’esistenza di un’ipoteca giudiziale precedente alla stipula dell’atto, riteneva che il Notaio, aveva colpevolmente omesso di effettuare le necessarie visure ipocatastali, circostanza dalla quale scaturiva la sua responsabilità contrattuale.
Affermava, inoltre, che seppure nel contratto di compravendita immobiliare l’alienante aveva dichiarato, ingannevolmente, che il cespite era libero da pesi, censi, canoni, oneri, iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, la responsabilità del professionista non poteva ritenersi un alcun ritenersi attenuata.
Su questo aspetto la giurisprudenza di legittimità, infatti, ha più volte chiarito che la responsabilità del Notaio per mancata o inesatta effettuazione delle visure ipocatastali non risulta esclusa o attenuata dal fatto che la parte venditrice abbia ingannevolmente dichiarato in atto la libertà dell’immobile da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, invero, l’obbligo di procedere al preventivo accertamento della libertà del bene, mediante le visure ipotecarie o catastali, non è subordinato al conferimento di uno specifico incarico, ma rientra nei doveri professionali del Notaio incaricato della preparazione e della stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare.
Ancora, relativamente al quantum debeatur, precisava che per determinare l’ammontare del risarcimento in tema di responsabilità notarile da omesse visure, è possibile anche la condanna al risarcimento in forma specifica.
Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale riteneva sussistente la responsabilità professionale del Notaio condannandolo a procedere alla cancellazione dell’ipoteca.
Per ulteriori approfondimenti si veda:
RESPONSABILITA’ NOTAIO: LE CONSEGUENZE PER INESATTEZZA DEI DATI ANAGRAFICI PER I MUTUI IPOTECARI
NON È POSSIBILE PROCEDERE ALLA ISCRIZIONE SUPPLETIVA O IN RETTIFICA
Sentenza Corte di Appello di Napoli, sez. terza, Pres. Giordano – Rel. Mondo 12-11-2014 n.4503
NOTAIO: RESPONSABILE PER MANCATO RILIEVO DI USI CIVICI PER I CONTRATTI DI MUTUO IPOTECARI
LA CONDOTTA NEGLIGENTE È DETERMINATA DALL’OMESSA CONSULTAZIONE DELL’UFFICIO USI CIVICI
Sentenza | Tribunale di Napoli, dott. Francesco Graziano | 16-10-2014
LA PREPARAZIONE DELL’ATTO PUBBLICO RICHIEDE UNA PREVENTIVA VERIFICA DEL BENE IMMOBILE E TALE DOVERE GRAVA SUL NOTAIO ROGANTE
Sentenza | Cassazione Civile, Terza Sezione | 26-08-2014 | n. 18244
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Negli atti a titolo gratuito il requisito oggettivo del c.d. eventus damni deve essere ritenuto sussistente allorquando l’atto dispositivo del debitore abbia determinato maggiore difficoltà od incertezza nell’esazione coattiva del credito, potendo siffatto pregiudizio consistere in una variazione quantitativa o anche qualitativa del patrimonio del debitore.
In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisce per il pagamento di un suo credito è tenuto unicamente a fornire la prova del fatto costitutivo del diritto fatto valere, mentre il debitore convenuto è gravato dall’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Torre Annunziata, Dott. Gian Piero Vitale con sentenza del 21.02.2017 n.559.
Nel caso di specie una Banca conveniva in giudizio un debitore promuovendo domanda di accertamento del credito e azione di revocazione ex art.2901 c.c. dell’atto dispositivo a titolo gratuito posto in essere dal convenuto su beni immobili di sua proprietà, fornendo prova dell’esistenza del credito vantato nei confronti del convenuto.
Il convenuto rimaneva contumace.
Il giudice riteneva fondata e legittimata l’azione di revocatoria promossa dall’attrice sulla base dell’esistenza di una semplice ragione di credito e non necessariamente di un credito certo, liquido ed esigibile accertato in sede giudiziale.
Sotto il profilo probatorio si osservava che il carattere lesivo dell’atto dispositivo impugnato si desumesse pacificamente dalla indubbia variazione del patrimonio del debitore donante, dato che attraverso l’atto di donazione il convenuto si spogliava della titolarità degli immobili di cui era proprietario, pertanto non più sottoponibili ad azione esecutiva ex parte attrice creditrice, con l’ ulteriore conseguenza di dover ritenere sussistente la consapevolezza del debitore di precludere o rendere difficile l’attivazione coattiva del credito.
Il giudicante dichiarava, quindi, inefficace l’atto dispositivo impugnato dalla banca, ovvero l’atto di donazione rogato, atteso che l’azione revocatoria avente ad oggetto un atto a titolo gratuito non postula che il pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori istanti sia conosciuto oltreché dal debitore donante anche dal terzo beneficiario, trattandosi di requisito richiesto solo per la diversa ipotesi degli atti a titolo oneroso, considerando che ai sensi dell’art. 2901 c.c. comma 1, è sufficiente la semplice consapevolezza nel debitore alienante di ledere le ragioni dei creditori.
Sulla base di quanto suesposto il giudice accoglieva le domande proposte dalla banca, dichiarandola creditrice del convenuto debitore, e ordinava di provvedere alla relativa trascrizione con esonero da ogni responsabilità, condannando i convenuti al pagamento delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
REVOCATORIA FALLIMENTARE: LA PROVA DELLA SCIENTIA DECOCTIONIS È INDIZIARIA E NON DIRETTA
I PROTESTI COSTITUISCONO UNA PRESUNZIONE SEMPLICE
Sentenza Cassazione Civile, sez. prima, Pres. Ceccherini – Rel. Didone 14-01-2016 n. 504
CENNI SULLA CORRETTA INTERPRETAZIONE DEGLI ARTT. 65-67 L.FALL.
Ordinanza Cassazione Civile, sez. Sesta, Pres. Tagonesi – Rel Genovese 11-11-2015 n. 23101
REVOCATORIA FALLIMENTARE: SCIENTIA DECOTIONIS, BILANCI IRRILEVANTI SENZA PROVA CONOSCIBILITÀ
LA CURATELA DEVE DIMOSTRARE QUANDO IL BILANCIO È STATO DEPOSITATO PRESSO REGISTRO IMPRESE
Sentenza Corte di Appello di Napoli, Pres. Lipani – Rel. Petruzziello 25-09-2015 n.3776
SCIENTIA DECOCTIONIS: OCCORRONO DATI CONTABILI NEGATIVI DI IMMEDIATA EVIDENZA
NON RILEVA EX SE LA CIRCOSTANZA CHE LA BANCA SIA UN OPERATORE QUALIFICATO
Sentenza Corte di Appello di Napoli, Pres. Lopiano – Rel. Tabarro 25-05-2015 n.2360
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Il requisito soggettivo della scientia damni in capo al compratore, da intendersi come coscienza generica di mettere a repentaglio, con la manifestazione del consenso generatore della vicenda traslativa, la legittima aspettativa dei creditori del proprio autore, impersonalmente considerati può essere legittimamente ricavata da elementi di carattere presuntivo, ipoteticamente ravvisabili in re ipsa qualora il debitore si sia disfatto uno actu di tutti i suoi beni.
Questi il principio espresso dal Tribunale di Napoli, Dott. Vinciguerra con sentenza del 21.02.2017 n.2163.
Nel caso di specie una banca e delle società convenivano in giudizio una società e il suo fideiussore chiedendo la revoca e l’accertamento della simulazione assoluta del contratto di compravendita, con cui il garante alienava l’unico bene immobile della suddetta società.
Le società attrici invocavano, a sostegno delle proprie domande, la circostanza che una parte del corrispettivo pattuito per la negoziazione fosse stato versato prima della stipula della contratto di compravendita, in tempi e con mezzi del tutto imprecisati, posto che nel contempo l’acquirente avesse promesso di pagare la restante quota, sulla base di una clausola accessoria interna e cumulativa, nonché priva di valenza liberatoria e non accettata dal terzo creditore, rimasto estraneo del debito residuo gravante all’epoca della consacrazione dell’accordo sul venditore.
La banca creditrice, invece, dando prova della maturazione e dell’esigibilità delle obbligazioni dovute dalla società debitrice, attraverso estratti periodici indicativi delle operazioni effettuate nel corso dello svolgimento dell’intero rapporto, chiedeva la condanna della debitrice al pagamento del saldo passivo residuato allo scioglimento in sofferenza del vincolo di apertura di credito in conto corrente.
Il giudice riteneva fondate tanto le azioni revocatorie promosse dalle società quanto dall’istituto di credito, posto che trovassero una giustificazione apprezzabile in alcuni dati di rilievo indiziario, sufficienti per desumere con elevato grado di probabilità, la consapevolezza da parte di entrambi gli stipulanti, dei pregiudizi arrecati agli intimanti dall’operazione che aveva sensibilmente eroso il patrimonio del convenuto, e che le dichiarazioni di quietanza e di accettazione della proposta di assunzione del debito altrui, rilasciate dal convenuto, risultassero inattendibili.
Nel merito, il Tribunale stabiliva che la definitiva sottrazione di un’entità attiva di valore tutt’altro che trascurabile dalla massa delle ricchezze del convenuto -in grado ex se di creare un pericolo concreto di incapienza- configurasse l’insorgenza dell’eventus damni, integrando nel contempo, il requisito soggettivo della scientia damni, quale conoscenza generica di mettere a repentaglio, con la manifestazione del consenso generatore della vicenda traslativa, la legittima aspettativa dei creditori.
Sulla base delle ragioni suesposte il Tribunale ha dichiarato inefficace nei confronti delle società attrici e degli interventori volontari il contratto di compravendita stipulato ex art. 2901 c.c., ha condannato la società debitrice al pagamento di quanto dovuto alla banca creditrice e a rifondere le spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
REVOCATORIA ORDINARIA: TUTELATA ANCHE LA MERA ASPETTATIVA DI CREDITO
INOPPONIBILE AL CREDITORE IL FONDO PATRIMONIALE COSTITUITO E TRASCRITTO IN PREVISIONE DELL’INSORGERE DEL CREDITO
Sentenza | Tribunale di Ferrara, Dott. Roberto Vignati | 24.02.2015 | n.201
LA MALA FEDE DEL SUBACQUIRENTE CONSISTE NELLA CONSAPEVOLEZZA DEI VIZI DI REVOCABILITÀ DELL’ATTO ORIGINARIO
Sentenza | Tribunale di Napoli, sezione fallimentare, dott. Stanislao De Matteis | 13.05.2013
AZIONE REVOCATORIA: È SUFFICIENTE CHE L’ATTO RENDA PIÙ INCERTO IL RECUPERO DEL CREDITO
NON OCCORRE LA TOTALE COMPROMISSIONE DELLA CONSISTENZA PATRIMONIALE
Sentenza | Tribunale di Ravenna, dott.ssa Alessia Vicini | 09.01.2014 | n.23
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L’inserimento in un contratto di fideiussione di una “clausola di pagamento a prima richiesta e senza eccezioni” vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, in quanto incompatibile con il principio di accessorietà, che caratterizza il contratto di fideiussione; peraltro, il fideiussore è tenuto a pagare immediatamente alla banca, a semplice richiesta scritta, quanto dovutole per capitale, interessi, spese, tasse e ogni altro accessorio, atteso che detta clausola risulti specificamente approvata ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c.
Questo il principio espresso dal Tribunale di Nola Dott.ssa Caterina Costabile con l’ordinanza del 18.04.2017.
Un debitore proponeva opposizione al decreto ingiuntivo ex art. 645 c.p.c. emesso a favore di una Banca in merito all’inadempimento di una transazione relativa ad un contratto di fideiussione stipulato con il suddetto debitore.
L’opponente, sebbene non contestasse l’inadempimento della transazione, asseriva, tuttavia, l’esistenza di un accordo con un altro garante in ordine alla ripartizione interna degli oneri derivanti dalla procedura transattiva.
Il Giudice, in vista dell’applicabilità dell’art. 5 del D.L.gs. n. 28/10 trattandosi di controversia involgente contratti bancari; ha ritenuto sussistenti i presupposti di cui all’art. 648 c.p.c., atteso che l’accordo stipulato con il garante deve considerarsi autonomo e quindi non opponibile all’istituto di credito, rimasto estraneo allo stesso.
Nello specifico il giudicante ha precisato che l’inserimento in un contratto di fideiussione di una “clausola di pagamento a prima richiesta e senza eccezioni” vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, in quanto incompatibile con il principio di accessorietà, che caratterizza il contratto di fideiussione. Invero, considerato l’inserimento e la specifica sottoscrizione della suddetta clausola si dispone che il fideiussore è tenuto a pagare immediatamente alla banca, a semplice richiesta scritta, quanto dovutole per capitale, interessi, spese, tasse e ogni altro accessorio.
Alla luce delle ragioni suesposte il Tribunale concedeva la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, assegnando ai sensi dell’art. 5 del D.L.gs. n. 28/10 il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
L’UNICA ECCEZIONE OPPONIBILE È RELATIVA ALLA CONTRARIETÀ A NORME IMPERATIVE O L’ILLICEITÀ DELLA CAUSA
Tribunale di Trani, dott. Elio Di Molfetta | 20.05.2016 | n.732
FIDEIUSSIONE: VI È AUTONOMIA DELLA GARANZIA RISPETTO ALL’OBBLIGAZIONE DEL DEBITORE PRINCIPALE
PIENAMENTE VALIDA ED EFFICACIA ANCHE IN CASO DI INVALIDITÀ DEL RAPPORTO SOTTOSTANTE
Sentenza | Tribunale di Trani, Dott. Giuseppe Gustavo Infantini | 18.11.2016 | n.1748
IL DISCONOSCIMENTO DELLE SOTTOSCRIZIONI AUTOGRAFE È MOTIVO DI CONDANNA PER LITE TEMERARIA
Sentenza | Tribunale di Velletri, Dott. Daniele D’Angelo | 22.06.2016 | n.2061
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Il potere di adottare l’ordine di liberazione è funzionale allo scopo di realizzare un processo esecutivo effettivo ed efficace e deve essere esercitato dal giudice al fine di assicurare il raggiungimento concreto di tale obiettivo.
La liberazione del bene assicura una migliore conservazione dell’immobile a cura del custode giudiziario ed una più efficacia tutela dell’interesse dei creditori ad un rapido ed efficace svolgimento della procedura.
L’ordine di liberazione deve essere attuato dal custode secondo le disposizioni del giudice dell’esecuzione.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Nola, Dott.ssa Lorella Triglione, con ordinanza del 11.04.2017.
Nell’ambito di una procedura espropriativa, il creditore procedente chiedeva al Giudice dell’esecuzione di ordinare la liberazione dell’immobile pignorato, attesa la diserzione dei vari tentativi di vendita, sostenendo che l’occupazione del bene da parte dei debitori, fosse di ostacolo alla sua collocazione sul mercato.
Il giudicante rivendicato il proprio potere discrezionale di valutare se disporre o meno la liberazione del bene, affermava che la possibilità di adottare detto ordine fosse funzionale allo scopo di realizzare un processo esecutivo effettivo ed efficace.
Riteneva, inoltre, che la liberazione potesse assicurare una migliore conservazione del bene a cura del custode giudiziario, nonché una maggiore tutela degli interessi dei creditori ad un rapido ed efficace svolgimento della procedura, facilitando la vendita dell’immobile al prezzo di mercato.
Ordinava, pertanto, agli occupanti di abbandonare il bene, comunicando al custode giudiziario le modalità di attuazione dell’ordine.
Nella specie, fissava il tempo e le modalità d’attuazione, nonché il da farsi in caso di presenza di beni mobili, infine, ordinava l’intervento della forza pubblica e di ausiliari quali fabbro, medico legale, accalappiacani e servizi sociali in caso di necessità.
Per ulteriori approfondimenti:
ORDINE DI LIBERAZIONE: REALIZZA UN PROCESSO ESECUTIVO CONCRETO, EFFETTIVO ED EFFICACE
IL CONTENUTO: A) TEMPO DELL’ATTUAZIONE; B) MODALITÀ DELL’ATTUAZIONE; C) BENI MOBILI.
Ordinanza | Tribunale Santa Maria Capua Vetere, Dott. Valerio Colandrea | 19.04.2017 |
IL CREDITORE PUÒ FARE ISTANZA AL GE PER OTTENERE ORDINE DI LIBERAZIONE IN OGNI MOMENTO DELLA PROCEDURA
Ordinanza | Tribunale di Napoli, Dott. Roberto Peluso | 03.11.2015 |
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La liberazione dell’immobile rende più probabile la vendita a prezzo di mercato atteso che lo stato di occupazione può determinare nei potenziali acquirenti incertezza in ordine ai tempi di effettiva consegna nel caso di aggiudicazione e, quindi, costituisce un disincentivo alla loro partecipazione alla gara.
L’ordine di liberazione è funzionale allo scopo di realizzare un processo esecutivo concreto, effettivo ed efficace con una migliore conservazione dell’immobile e un rapido svolgimento della procedura.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Dott. Valerio Colandrea con ordinanza del 19.04.2016.
È’ accaduto che nell’ambito di una procedura espropriativa, il creditore procedente, in seguito a vari tentatitivi di vendita infruttuosi dell’immobile pignorato, chiedeva la liberazione dello stesso, ritenendo che la presenza del debitore potesse essere di ostacolo alla realizzazione del giusto prezzo di vendita.
In merito a tale richiesta, il Giudice dell’esecuzione sottolineava che a seguito del pignoramento, il debitore non può più vantare, rispetto ai creditori, alcuna posizione soggettiva qualificata in ordine al godimento del bene pignorato, atteso che, ai sensi dell’art. 560, terzo comma, c.p.c., lo stesso può continuare ad abitare l’immobile solo in quanto espressamente autorizzato dal giudice dell’esecuzione.
Infatti, anche la giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che la valutazione di disporre o meno la liberazione, presuppone l’esercizio di un potere discrezionale da parte del giudice dell’esecuzione, che è espressione dei suoi compiti di gestione del processo ed è funzionale alla realizzazione dello scopo del medisimo, ovvero quello della soddisfazione dei crediti del procedente e degli intervenuti mediante la vendita del bene pignorato, pertanto, il potere di adottare l’ordine di liberazione deve considerarsi funzionale allo scopo di realizzare un processo esecutivo effettivo ed efficace.
Nella specie, riteneva che la liberazione potesse assicurare una migliore conservazione dell’immobile a cura del custode giudiziario, nonché la facilitazione della vendita a prezzo di mercato, laddove, invece, lo stato di occupazione avrebbe potuto determinare nei potenziali acquirenti incertezza in ordine all’effettiva consegna nel caso di aggiudicazione.
Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale ordinava al debitore occupante di consegnare l’immobile al custode giudiziario e a quest’ultimo di darne attuazione.
Il Giudice ha disciplinato i seguenti aspetti correlati alla concreta esecuizione di tal provvedimento:
In particolare, il giudicante ha ordinato alla forza pubblica di prestare assistenza e ausilio al custode giudiziario per le attività di liberazione dell’immobile pignorato e per l’effetto ha disposto:
– il custode giudiziario comunichi agli organi della forza pubblica competenti per territorio la necessità di intervento per la liberazione dell’immobile;
– gli agenti della forza pubblica siano presenti alla data e all’ora fissate (eventualmente concordate) e, su richiesta del custode giudiziario, provvedano a vincere le resistenze degli occupanti nonché, avvalendosi delle proprie prerogative e se necessario della forza, ad accompagnarli al di fuori dell’immobile;
– gli agenti della forza pubblica, su richiesta del custode giudiziario, prestino altresì la loro assistenza alle ulteriori operazioni di liberazione (a titolo esemplificativo: sostituzione delle serrature, perlustrazione dei luoghi, inventario dei beni mobili rinvenuti, verbalizzazione, ecc.) sino alla loro conclusione.
Nel contempo il Giudice ha autorizzato il il custode giudiziario ad avvalersi di vari possbili ausiliari (fabbro; medico legale; servizi sociali; accalappiacani; medico veterinario) disponendo quanto segue:
– il medico legale verifichi, su eventuale richiesta del custode giudiziario, la necessità di ricovero delle persone occupanti l’immobile presso strutture sanitarie;
– i servizi sociali siano presenti, su eventuale richiesta del custode giudiziario, al momento delle operazioni di liberazione per l’adozione dei provvedimenti di propria competenza ai sensi dell’art. 403 cod. civ.;
– il medico veterinario verifichi, su eventuale richiesta del custode giudiziario, lo stato degli animali presenti nell’immobile e chiarisca la possibilità di smaltimento in caso di mancato asporto (vendita; macellazione; donazione; ecc.).
Per ulteriori approfondimenti si rinvia al seguente contributo pubblicato in Rivista:
IL CREDITORE PUÒ FARE ISTANZA AL GE PER OTTENERE ORDINE DI LIBERAZIONE IN OGNI MOMENTO DELLA PROCEDURA
Ordinanza | Tribunale di Napoli, Dott. Roberto Peluso | 03.11.2015 |
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È propria del notaio la responsabilità di identificare i soggetti che presenziano ad un atto a proprio rogito.
A tal fine, non è sufficiente la verifica fondata sul solo documento d’identità esibito dalla parte (in particolare la sola carta di identità senza esibizione di un secondo documento di identità).
Il notaio, infatti, quale pubblico ufficiale accertante, ha comunque l’obbligo di acquisire tutti gli elementi e le informazioni che ritenga utili e necessari per giungere ad un giudizio di certezza sull’identità delle parti, secondo l’elevato grado di diligenza professione richiesto ad un tale professionista, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c..
L’espletamento da parte dalla banca di una precedente attività istruttoria in ordine al mutuo ed alla ammissione della pratica, che avrebbe ingenerato un affidamento nel professionista, non può essere motivo esonero per il pubblico ufficiale dall’obbligo di identificazione delle parti. Pertanto il notaio responsabile non può rivalersi in via riconvenzionale nei confronti della banca mutuante.
Alla luce della diligenza richiesta al notaio rogante un contratto di mutuo, e diretta all’accertamento anche dell’identità delle parti, il pubblico ufficiale è tenuto alla acquisizione diretta delle relative certificazioni presso i rispettivi uffici competenti, non potendosi lo stesso limitare ad utilizzare la documentazione consegnatagli dal mutuatario.
L’entità del danno cagionato alla banca creditrice va individuata nell’importo pari al controvalore monetario del credito vantato in virtù del contratto di mutuo nullo, in quanto la pronuncia di nullità, per inesistenza del mutuatario, impedisce di agire in executivis.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Torre Annunziata, in persona della dott.ssa Luisa Zicari, con sentenza n. 1043 del 10.04.2017..
Nella fattispecie in questione, una banca proponeva azione di risarcimento nei confronti di un notaio – sul presupposto della responsabilità professionale di quest’ultimo – che aveva rogato un contratto di mutuo fondiario tra essa mutuante ed un mutuatario, poi risultato soggetto inesistente.
In particolare, a garanzia del mutuo concesso, l’istituto aveva iscritto ipoteca sull’immobile che il notaio nella relazione finale aveva dichiarato essere di proprietà del mutuatario, nonché libero da spese e trascrizioni pregiudizievoli.
Successivamente la banca, nel tentativo di notificare atto di precetto alla parte mutuataria che nel frattempo si era resa inadempiente, era venuta a conoscenza dell’inesistenza anagrafica dello stesso, per cui citava in giudizio il professionista che aveva erroneamente identificato il soggetto debitore, lamentando il mancato uso da parte di questo della diligenza professionale qualificata ex art. 1176, secondo comma c.c..
Il notaio convenuto si costituiva, sottolineando di aver adempiuto all’onere di identificazione del mutuatario con la diligenza professionale posta a suo carico, avendo visionato la carta di identità del mutuatario e richiesto al medesimo i certificati relativi al suo status familiare estratti dal competente ufficio anagrafe. Aggiungeva, inoltre, che il mutuatario era stato presentato da una società di intermediazione creditizia – che provvedeva a chiamare in giudizio in manleva, unitamente all’incaricato di quest’ultima – e che la banca mutuante aveva svolto una preliminare istruttoria sulla identità del soggetto.
Proprio sul presupposto di aver fatto “affidamento” – tra l’altro – sull’istruttoria espletata dall’istituto di credito, il notaio proponeva domanda riconvenzionale nei confronti della banca, della società intermediaria chiamata in giudizio e della persona fisica che aveva agito per conto di quest’ultima.
Sciolte le questioni preliminari, il Tribunale adito, in primo luogo, richiamava la normativa di settore, e precisamente l’art.49 della legge sull’ordinamento del notariato (L. n. 89/1913), a mente del quale “il notaio deve essere certo dell’identità personale delle parti e può raggiungere tale certezza, anche al momento della attestazione, valutando tutti gli elementi atti a formare il suo convincimento. In caso contrario il notaio può avvalersi di due fidefacienti da lui conosciuti, che possono essere anche i testimoni”.
La “certezza” che il professionista rogante deve raggiungere, non è già di natura personale (dovuta a una conoscenza pregressa del soggetto), ma, piuttosto, uno stato soggettivo raggiunto al momento dell’attestazione. In altri termini – proseguiva il giudice campano – “la certezza richiesta dalla norma è […] una certezza relativa e non una realtà ontologica”.
Non stabilendo la norma un espresso “protocollo di identificazione”, essa va letta in combinato disposto con il canone della “diligenza qualificata”, ovverosia quella “particolare diligenza” di cui all’art. 1176, secondo comma, c.c., che deve assistere l’attività del professionista nell’adempimento della propria prestazione.
In tal senso, la disposizione codicistica prescrive che “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
Orbene è indubbio – come peraltro ribadito nella sentenza in commento – che, tra il notaio e le parti dell’atto notarile, si instaura un rapporto di prestazione d’opera professionale, dal quale scaturisce la fondamentale obbligazione di porre in essere tutti gli accorgimenti idonei a conseguire, con pienezza e stabilità di effetti, il regolamento di interessi voluto dalle parti.
Tale considerazione si lega anche ad altra importante conseguenza in termini di prescrizione del diritto al risarcimento: qualificando la responsabilità del notaio in termini contrattuali, il termine va stabilito in quello ordinario decennale (altro tema, fuori dal contesto della pronuncia qui in esame, è quello della decorrenza del dies a quo, che per la banca creditrice non può che decorrere dal momento – inevitabilmente successivo – in cui la stessa venga a conoscenza del “vizio” che inficia la propria garanzia ipotecaria).
Così chiarite le premesse normative della questione, il tribunale passava a “riempire” di contenuto – con riferimento alle peculiarità del caso di specie – il generale canone di “particolare diligenza”.
In tal senso, preliminarmente richiamava la “consolidata giurisprudenza” che ritiene insufficiente (e quindi non diligente) il riscontro “compiuto tramite un solo documento o sulla base di accertamenti compiuti “da soggetti terzi”, non dovendosi confondere l’attività di autenticazione con la mera identificazione”, essendo quindi necessario l’ausilio di un secondo documento di riconoscimento e/o della presenza di soggetti fidefacenti.
Ebbene, nel caso in esame – rilevava il giudice – il notaio non aveva sufficientemente assolto alla propria prestazione professionale identificativa, basandosi sulla sola carta d’identità fornita dal soggetto mutuatario e su certificati anagrafici da quest’ultimo forniti (e peraltro privi del timbro del comune).
Infatti – proseguiva – “anche qualora il documento non presenti segni evidenti di alterazione non è agevole verificarne l’eventuale falsità atteso il diffuso fenomeno di falsificazione dei documenti e, pertanto, il notaio, quale pubblico ufficiale accertante, ha comunque l’obbligo di accertare l’identità delle parti acquisendo tutti gli elementi e le informazioni che ritenga utili e necessari per giungere ad un giudizio di certezza secondo l’elevato grado di diligenza professione richiesto ad un tale professionista, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c.”.
La stessa Suprema Corte aveva peraltro già chiarito che la carta di identità sia, a tali fini, documento non sufficiente “trattandosi del resto di documentazione a fini di polizia, privo di forza certificatrice generale” (Cfr. Cass. 15.5.86 n. 3274).
Né risultava provato quanto dedotto dal notaio circa la asserita consultazione di “ben due documenti di riconoscimento”, non potendo peraltro attribuirsi tale valore – secondo la stringente definizione fornita dall’art. 1 lett. d) del DPR 445/ 2000 – al certificato di attribuzione del codice fiscale.
Il tribunale rilevava – infine – che anche gli altri certificati richiesti al mutuatario ed acquisiti dal notaio, peraltro in sola copia, presentavano seri dubbi di genuinità, “che non potevano trarre in inganno l’occhio esperto di un professionista”.
Si trattava, nella specie, di certificazioni anagrafiche di dubbia data e mancanti del timbro (stampato o a secco) recante nome e cognome del funzionario dell’ufficio anagrafe del Comune.
Alla luce di tali incongruenze e della considerazione che il Notaio ha accesso privilegiato all’ufficio anagrafe, il giudice riteneva il professionista non esonerato dall’onere di compiere le necessarie ricerche anagrafiche, piuttosto che limitarsi ad utilizzare la documentazione consegnatagli dal mutuatario, di fatto inidonea – in concreto – a conferire quel grado di certezza nell’identificazione richiesto al pubblico ufficiale.
Infine, relativamente al dedotto espletamento da parte dalla Banca di una precedente attività istruttoria in ordine al mutuo ed alla ammissione della pratica, che avrebbe ingenerato un affidamento nel professionista, il Giudicante affermava che detta attività doveva considerarsi perlopiù diretta alla stima dell’immobile e in ogni caso che la stessa “non può determinare un esonero per il pubblico ufficiale dell’obbligo di identificazione delle parti”.
Alla luce di tali presupposti, il Tribunale di Torre Annunziata riteneva che il comportamento del professionista non potesse essere qualificato come diligente, avendo lo stesso accertato l’identità della parte in modo approssimativo e non conforme ai canoni normativi e giurisprudenziali, ed – in merito alla domanda riconvenzionale promossa nei confronti della banca – alcuna responsabilità poteva attribuirsi all’istituto di credito, statuendo il principio per il quale “è propria del notaio la responsabilità di identificare i soggetti che presenziano ad un atto a proprio rogito” e che “in buona sostanza si tratta di una responsabilità del notaio prevista espressamente dalla legge”, avuto riguardo alla disposizione di cui all’art. 49 della legge professionale.
Il Tribuale condannava, pertanto, il notaio al risarcimento dei danni subiti dall’istituto di credito, liquidandoli – con principio altrettanto degno di nota – nell’intero importo dovuto dal debitore “inesistente” in virtù del contratto di mutuo da ritenersi nullo, atteso che la prestazione professionale “indiligente” aveva determinato, di fatto, la perdita della garanzia ipotecaria e, più in generale, della possibilità di agire in executivis.
Per ulteriori approfondimenti, si rinvia ai seguenti provvedimenti pubblicati in Rivista:
LA BANCA NON HA L’OBBLIGO DI SVOLGERE L’ACCERTAMENTO IDENTIFICATIVO IMPOSTO AL NOTAIO AL MOMENTO DEL ROGITO
Sentenza | Tribunale di Pescara, Dott. Sergio Casarella | 02.09.2015 | n.1476
MUTUO: USI CIVICI SULL’IMMOBILE IPOTECATO, NOTAIO CONDANNATO
IL PUBBLICO UFFICIALE È NEGLIGENTE SE NON CONSULTA TUTTE LE BANCHE DISPONIBILI
Sentenza | Tribunale di Napoli, Dott. Francesco Graziano | 03.10.2016 | n.10660
NELLA RELAZIONE PRELIMINARE DEVE INFORMARE NECESSARIAMENTE LA BANCA MUTUANTE
Sentenza | Cassazione civile, sez. seconda, Pres. Bucciante – Rel. Scarpa | 09.05.2016 | n.9320