OPPOSIZIONE DECRETO INGIUNTIVO: la domanda va rigettata in mancanza di una specifica contestazione

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

L’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve verificare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre l’opponente, il quale assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l’onere di contestare il diritto azionato con il ricorso monitorio, facendo valere l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l’esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto.

Le risultanze dell’estratto di conto corrente allegate a sostegno della domanda di pagamento dei saldi, legittimano l’emissione di decreto ingiuntivo e, nell’eventuale giudizio di opposizione, hanno efficacia fino a prova contraria, potendo essere disattese solo in presenza di circostanziate contestazioni, non già attraverso il mero rifiuto del conto o la generica affermazione di nulla dovere.

In materia di ingiunzione civile e di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opponente ha l’onere di specifica contestazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 115 c.p.c., nella formulazione applicabile ratione temporis; in mancanza l’opposizione va rigettata.

Questi i principi espressi dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Dott.ssa Luigia Franzese, con la sentenza n. 213 del 23.01.2017.

Nella fattispecie in questione, una società correntista proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con cui era stato ingiunto a quest’ultima il pagamento in favore della Banca di una ingente somma, lamentando la nullità del decreto ingiuntivo opposto, in quanto notificato ad un soggetto sfornito di facoltà, la mancanza di adeguata documentazione comprovante l’esistenza del credito azionato dalla controparte, l’applicazione indebita di interessi anatocistici ed usurari e chiedendo la revoca del provvedimento ed in via riconvenzionale, la restituzione delle somme indebitamente corrisposte all’Istituto di credito.

La Banca si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda, in quanto infondata in fatto ed in diritto.

Il Tribunale campano osservava, preliminarmente, che l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice è chiamato a valutare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre l’opponente, che assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l‘onere di contestare il diritto azionato con il ricorso monitorio, facendo valere l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l’esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto.

Il Giudice, quindi, rigettava l’eccezione di nullità del decreto ingiuntivo sollevata da parte opponente, rilevando che la società, pur in liquidazione, era ancora esistente, come dimostrato dalla costituzione in giudizio, in persona del liquidatore e sottolineando il fatto che, a fronte della produzione in giudizio da parte dell’Istituto di credito degli estratti conto ricostruttivi dell’intero rapporto, l’opponente aveva omesso di contestare in modo specifico sia la pretesa creditoria, sia le risultanze degli estratti conto prodotti in atti.

Ed, in effetti, secondo un orientamento consolidato nella giurisprudenza maggioritaria, le risultanze dell’estratto di conto corrente allegate a sostegno della domanda di pagamento dei saldi, legittimano l’emissione di decreto ingiuntivo e, nell’eventuale giudizio di opposizione, hanno efficacia fino a prova contraria, potendo essere disattese solo in presenza di circostanziate contestazioni, non già attraverso il mero rifiuto del conto o la generica affermazione di nulla dovere.

In ordine alle censure in punto di anatocismo, il Tribunale rilevava che i contratti, stipulati successivamente alla delibera CICR del 2000, contemplavano legittimamente la capitalizzazione trimestrale degli interessi, sia attivi, che passivi, in condizione di pariteticità tra le parti.

Infine, in relazione alle contestazioni mosse in materia di usura, il Giudice ribadiva che grava sul debitore ingiunto che eccepisce l’illegittimità dell’addebito di interessi usurari da parte della Banca, l’onere di indicazione specifica del periodo in cui si sarebbero verificate le operazioni usurarie.

Alla luce di quanto esposto, il Tribunale rigettava la domanda, confermando e dichiarando esecutivo il decreto ingiuntivo opposto con condanna alle spese.

Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:

OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO: LE CONTESTAZIONI DEVONO ESSERE SPECIFICHE E DETERMINATE

TALE LACUNA NON PUÒ ESSERE COLMATA CON L’ESPERIMENTO DI C.T.U., CHE AVREBBE NATURA MERAMENTE ESPLORATIVA
Sentenza | Tribunale di Torino, Dott.ssa Maurizia Giusta | 19.09.2016 | n.4499

OPPOSIZIONE A D.I.: IL CORRENTISTA-INGIUNTO DEVE MUOVERE OBIEZIONI SPECIFICHE E PRECISE

IN MANCANZA, LA CTU NON PUÒ ESSERE AMMESSA IN QUANTO AVENTE FINALITÀ PURAMENTE ESPLORATIVE

Sentenza | Tribunale di Roma, Dott. Tommaso Marvasi | 22.06.2016 | n.12714


 

 

ATP: inammissibile se volto alla determinazione degli interessi usurari

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

E’ inammissibile l’accertamento tecnico preventivo volto alla determinazione degli interessi usurari od avente ad oggetto la nullità di contratti conclusi in violazione di norme imperative.

Nell’ipotesi di rapporti bancari e di lamentata applicazione di interessi illegittimi, deve essere esclusa la possibilità di dare luogo ad una CTU contabile volta a verificare ciò che solo in via dubitativa una parte lamenti contro l’altra, essendo evidente che in tale modo lo strumento tecnico verrebbe asservito a finalità esplorative.

In caso di decisa contestazione sull’“an” della avversa pretesa, è inammissibile il ricorso al procedimento ex art. 696 bis c.p.c. atteso che in tal caso è del tutto inverosimile la eventuale conciliazione della lite, finalità che costituisce la ragion d’essere dell’ATP.

Questo il principio espresso dal Tribunale di Brindisi, Dott. Alfonso Orazio Maria Pappalardo con ordinanza del 07.04.2017.

Nel caso considerato, un correntista conveniva in giudizio la Banca, proponendo ricorso ex art 696 bis c.p.c., onde ottenere l’accertamento e la quantificazione delle somme che quest’ultima era tenuta a restituire allo stesso, in virtù della lamentata applicazione di interessi usurari al rapporto di conto corrente.

Si costitutiva la Banca contestando l’ammissibilità della domanda di accertamento, sulla base del rilievo per cui le questioni sollevate avrebbero necessitato di approfondimento in un giudizio a cognizione piena in quanto preliminari al conferimento di qualsivoglia incarico peritale.

Il Tribunale adito dichiarava di aderire all’orientamento giurisprudenziale per il quale, il procedimento ex art. 696 bis c.p.c., è esperibile solo quando l’incarico peritale sia idoneo a risolvere la controversia sull’”an” e sul “quantum“, ossia soltanto qualora gli accertamenti abbiano un elevato grado di fattualità, quindi, lo stesso deve dirsi inammissibile quando la decisione della controversia richieda la soluzione di questioni complesse.

Sottolineava, inoltre, che nell’ipotesi di rapporti bancari e di asserita applicazione di interessi illegittimi, doveva escludersi la possibilità di dare luogo ad una CTU contabile volta a verificare ciò, che solo in via dubitativa, una parte lamentava contro l’altra, atteso che in tali casi lo strumento tecnico avrebbe assunto finalità esplorative.

Nella specie, il Giudicante rilevava che i quesiti da porre al CTU avevano ad oggetto complesse e non pacifiche questioni di natura prettamente giuridica, attinenti, in particolare, alla interpretazione del contratto concluso dalle parti ed alla corretta applicazione di norme imperative e, pertanto, non poteva ammettersi lo strumento dell’ATP, con la probabile conseguenza che, poi, il giudice di merito avrebbe potuto non condividere le motivazioni giuridiche poste a fondamento dei quesiti posti al perito.

Infine, marcava la rilevante prevalenza delle finalità conciliative e deflattive del contenzioso dello strumento previsto dall’art. 696 bis c.p.c., ritenendo che nel caso di specie la decisa e radicale contestazione da parte dell’istituto di credito delle pretese del correntista non rendeva possibile l’eventuale conciliazione della lite.

Alla luce di tali considerazioni dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente al rimborso delle spese di lite.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti provvedimenti pubblicati:

ATP EX ART. 696 BIS CPC: INAMMISSIBILE PER ACCERTARE LA NULLITÀ DELLE CLAUSOLE CONTRATTUALI

LE QUESTIONI CONTROVERSE TRA LE PARTI NON DEVONO IMPLICARE VALUTAZIONI RISERVATE AL GIUDICE DEL MERITO

Ordinanza | Tribunale di Salerno, Dott.ssa Rosa Sergio | 03.04.2017 |

ATP: INAMMISSIBILE PER LA SOLUZIONE DI QUESTIONI GIURIDICHE ESTRANEE ALL’AMBITO DI INDAGINI DI NATURA TECNICA

SE IL GIUDICE DICHIARA INAMMISSIBILE LA CONSULENZA DEVE CONDANNARE ALLE SPESE LA PARTE ISTANTE

Ordinanza | Tribunale di Napoli Nord, Dott.ssa Valeria Rosetti | 02.03.2017 |

ATP: INAMMISSIBILE SE TESO AD ACCERTARE LA SUSSISTENZA DELL’INADEMPIMENTO O DEL FATTO ILLECITO

TALI QUESTIONI GIURIDICHE DEVONO NECESSARIAMENTE ESSERE DEVOLUTE ALLA VALUTAZIONE DEL GIUDICE

Ordinanza | Tribunale di Massa, Dott. Paolo Puzone | 15.02.2017 |

ATP EX ART.696 BIS CPC: inammissibile per accertare la nullità delle clausole contrattuali

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm 

E’ inammissibile il ricorso ex art. 696 bis c.p.c. teso ad accertare la nullità delle clausole di un contratto di mutuo ove la banca contesti in radice la sussistenza di tutte le illiceità denunziate atteso che in tal caso è necessario preventivamente deliberare in ordine a questioni preliminari di merito che devono essere affrontate in un giudizio a cognizione piena.

Questo il principio espresso dal Tribunale di Salerno, Dott.ssa Rosa Sergio, con ordinanza del 03.04.2017.

Nel caso in oggetto, un mutuatario conveniva in giudizio la Banca, proponendo ricorso ex art 696 bis c.p.c., onde ottenere l’accertamento della corrispondenza, o meno, dell’ISC indicato nel contratto, rispetto al tasso effettivamente applicato in concreto e, nel caso in cui quest’ultimo fosse risultato superiore a quello pattuito, il ricalcolo del piano di ammortamento del mutuo, applicando all’intero finanziamento, ai sensi dell’art. 117 comma 7 T.U.B., un tasso pari al rendimento minimo del BOT registrato nei 12 mesi precedenti la conclusione del contratto, e di conseguenza la quantificazione degli importi versati in eccedenza, calcolati come differenza tra le rate effettivamente corrisposte e le rate in tale modo determinate, nonché l’importo di quelle future.

Si costitutiva la Banca contestando la sussistenza della divergenza lamentata da controparte, l’erroneità della sanzione richiamata ed eccependo l’inammissibilità del ricorso sulla base del rilievo per cui le questioni sollevate avrebbero necessitato di approfondimento in un giudizio a cognizione piena in quanto preliminari al conferimento di qualsivoglia incarico peritale.

Aderendo alle difese dell’istituto di credito, il Tribunale adito sottolineava da un lato la rilevante prevalenza delle finalità conciliative e deflattive del contenzioso dello strumento previsto dall’art. 696 bis c.p.c., e dall’altro affermava che per il suo utilizzo era pur sempre necessario che:

a) tale strumento fosse almeno potenzialmente idoneo ad accertare i fatti e, nella fattispecie, la determinazione del rapporto debito-credito derivanti dalla pretesa inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali;

b) la possibilità che l’accertamento fosse effettuabile sulla base degli elementi disponibili e senza necessità di espletamento di attività istruttorie ulteriori rispetto alla C.T.U.;

c) che le questioni controverse tra le parti non implicassero valutazioni riservate al giudice del merito.

Rilevava, pertanto, che qualora l’accertamento tecnico preventivo, non avesse semplicemente ad oggetto la verifica della documentazione prodotta dalla parte, ma la risoluzione di questioni controverse riservate al giudice del merito, non poteva ricorrersi a tale strumento, atteso che spetta a detto giudice, in sede di valutazioni preliminari di merito, in presenza di contestazioni radicali dell’ altrui pretesa, individuare gli oneri e le spese da includere od escludere nel computo ovvero i tassi effettivamente applicabili, e deliberare in ordine alla eccepita nullità di clausole contrattuali.

Alla luce di tali considerazioni il giudice dichiarava l’inammissibilità del ricorso.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti provvedimenti:

ATP: INAMMISSIBILE PER LA SOLUZIONE DI QUESTIONI GIURIDICHE ESTRANEE ALL’AMBITO DI INDAGINI DI NATURA TECNICA

SE IL GIUDICE DICHIARA INAMMISSIBILE LA CONSULENZA DEVE CONDANNARE ALLE SPESE LA PARTE ISTANTE

Ordinanza | Tribunale di Napoli Nord, Dott.ssa Valeria Rosetti | 02.03.2017 |

ATP: INAMMISSIBILE SE TESO AD ACCERTARE LA SUSSISTENZA DELL’INADEMPIMENTO O DEL FATTO ILLECITO

TALI QUESTIONI GIURIDICHE DEVONO NECESSARIAMENTE ESSERE DEVOLUTE ALLA VALUTAZIONE DEL GIUDICE

Ordinanza | Tribunale di Massa, Dott. Paolo Puzone | 15.02.2017 |

ATP: INAMMISSIBILE SE FINALIZZATO ALL’ACCERTAMENTO DELL’USURA, DI PRETESE RESTITUTIVE O DI NON DEBENZA

TALI QUESTIONI PRESUPPONGONO VALUTAZIONI INDEBITAMENTE ANTICIPATORIE DI UN GIUDIZIO DI MERITO

Ordinanza | Tribunale di Napoli, Dott.ssa Fausta Como | 20.02.2017 |


 

 

PROTESTO ASSEGNI: non dovuto alcun preavviso al traente in caso di pignoramento notificato da terzi

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

E’ legittimo il comportamento della Banca trattaria la quale, a fronte dell’azzeramento della provvista in giacenza sul c.c., in conseguenza di un pignoramento notificatole dal terzo creditore della società traente, proceda tempestivamente a far elevare il protesto, senza che incomba sulla stessa alcun onere di preavviso alla cliente.

E’ onere della società traente assicurare la permanenza della provvista in vista dell’incasso, soprattutto la stessa aveva da tempo ricevuto la notifica del precetto.

Questi i principi espressi dal Tribunale di Cassino, Dott. Gabriele Sordi con l’ordinanza del 15.02.2017.

Nel caso di specie, una società-cliente aveva adito in via d’urgenza l’autorità giudiziaria per chiedere l’immediata cancellazione della segnalazione effettuata dalla Banca nel Registro Protesti della C.C.I.A.A. provinciale, in riferimento a n. 3 assegni bancari emessi sul conto corrente con la stessa intrattenuto.

In particolare, la società traente contestava il comportamento dell’istituto di credito il quale, in conseguenza del pignoramento notificatole dal terzo creditore della stessa, aveva proceduto all’ elevazione del protesto su detti titoli mancando di contattare la cliente, al fine di avvisarla che, in ragione dell’atto notificatole, non avrebbe provveduto a pagare i tre assegni ricevuti.

Il Tribunale di Cassino, ritenuta l’insussistenza dei presupposti per la concessione del provvedimento cautelare inaudita altera parte, fissava l’udienza per la comparizione delle parti.

Si costituiva in giudizio la Banca, sostenendo la legittimità del proprio operato, non incombendo sulla stessa alcun obbligo di comunicazione al cliente in ipotesi di notifica del pignoramento presso terzi, e rilevando, altresì, che già all’atto dell’emissione degli assegni – precedente alla notifica del pignoramento – non sussisteva la provvista per il pagamento degli stessi.

Il giudicante, ha considerato perfettamente legittimo il comportamento della Banca la quale, a fronte dell’azzeramento della provvista in giacenza sul c.c. in conseguenza del pignoramento notificatole, ha dovuto come per legge procedere tempestivamente a far elevare il protesto, senza che le incombesse per legge alcun onere di preavviso alla cliente, rilevando che era onere della società traente assicurare la permanenza di detta provvista in vista dell’incasso, essendo la notificazione del pignoramento pervenuta alla Banca trassata l’indomani rispetto al giorno di traenza e, dunque, in anticipo rispetto alla richiesta della compensazione bancaria, mentre la società pignorata aveva da tempo ricevuto la notifica del precetto.

Il Tribunale ha, inoltre, sottolineato che la differente disciplina normativa in merito ai tempi per poter ottenere la cancellazione del protesto per il mancato pagamento della cambiale rispetto a quello dell’assegno è giustificata dalla diversa funzione dei differenti titoli, il secondo essendo strumento di pagamento piuttosto che di credito, con il non casuale differente corredo sanzionatorio.

Sulla base dei suesposti rilievi il giudice si è pronunciato per il rigetto del ricorso, disponendo la   compensazione delle spese di lite, avendo la società ricorrente provveduto a saldare gli importi e gli accessori di legge e ritenendo plausibile che essa, pur avendo ricevuto la notifica del precetto, confidasse in una soluzione transattiva con il creditore pignorante.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia al seguente contributo pubblicato in Rivista:

PROTESTO ASSEGNI: LA BANCA NON DEVE AVVERTIRE IL CLIENTE

IL CORRENTISTA NON HA DIRITTO AD ALCUN PREVENTIVO AVVISO PRIMA DEL PROTESTO

Cassazione civile, sezione terza 12-02-2013 n.3286

USURA: la penale di estinzione anticipata non rileva ai fini della L. 108/1996 ove il mutuo risulti in corso

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

 L’istanza di sospensiva, proposta in via cautelare, non può essere accolta, preliminarmente ed in via assorbente, per difetto del requisito del periculum in mora, ove il contratto di mutuo risulti ancora in corso, in assenza di minaccia di danni gravi ed irreparabili discendenti dall’applicazione di esborsi non dovuti. 

Qualora il mutuo risulti vigente, l’applicazione degli interessi per estinzione anticipata del contratto, non può essere prospettata a sostegno del pregiudizio grave ed imminente giustificativo della connessa richiesta di pronuncia giudiziale in via di urgenza. 

La mera produzione in giudizio di una perizia di parte, non acquisita nel contraddittorio delle parti, non è sufficiente a prospettare l’esistenza di un pregiudizio grave ed imminente a carico dei mutuatari, tale da giustificare l’emissione di un provvedimento cautelare.

Questi i principi espressi dal Tribunale di Cosenza in composizione collegiale, Pres. Massimo Lento, con ordinanza del 06.03.2017.

Nel caso di specie, i mutuatari presentavano reclamo al Collegio avverso l’ordinanza che rigettava la richiesta di sospensione delle rate del mutuo fondiario ipotecario per usurarietà dei tassi e delle commissioni pattuite.

In particolare, i reclamanti deducevano l’ammissibilità della domanda cautelare proposta in corso di causa, avuto riguardo alla disciplina ex art. 669 quater c.p.c. e, nel merito, insistevano per l’accoglimento della richiesta sospensione.

La Banca reclamata si costituiva insistendo per l’inammissibilità della domanda e del reclamo e, nel merito, per il rigetto delle deduzioni avverse.

Preliminarmente ed in rito, il Collegio rilevava l’ammissibilità dell’istanza cautelare presentata in corso di causa nonostante la sua irritualità; nel merito, rigettava l’istanza di sospensiva per difetto del requisito del periculum in mora.

Invero, i mutuatari lamentavano l’applicazione da parte dell’Istituto di credito, di interessi usurari nel corso del rapporto, in ragione delle risultanze di una consulenza di parte che aveva ritenuto computabile nel calcolo del TEG, ai fini del rilevamento del tasso soglia usura, la penale per estinzione anticipata del finanziamento.

Il Collegio, per contro, chiariva che essendo il mutuo ancora vigente, alcuna applicazione degli interessi per estinzione anticipata poteva essere prospettata a sostegno del pregiudizio grave ed imminente lamentato dagli attori, sicché non risultava ammissibile l’invocata pronuncia giudiziale in via di urgenza, richiesta tra l’altro sulla scorta della mera produzione di una perizia di parte non acquisita nel contraddittorio delle parti.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale di Cosenza respingeva il reclamo, condannando i reclamanti al pagamento delle spese di lite.

Per altri precedenti si veda:

USURA: la commissione di anticipata estinzione del mutuo è rilevante solo se effettivamente applicata

PER IL PRINCIPIO DELL’EFFETTIVITÀ DEI C.D. ONERI EVENTUALI NON È SUFFICIENTE LA SOLA PATTUIZIONE DELLA CLAUSOLA NEL CONTRATTO

Ordinanza | Tribunale di Pordenone, Dott. Francesco Petrucco Toffolo | 23.05.2016

USURA: penale per inadempimento irrilevante ai fini del raffronto al tasso soglia

SI TRATTA DI UNA VOCE DISOMOGENEA RISPETTO A QUELLE RILEVANTI EX LEGE 108/96

Sentenza | Tribunale di Ferrara, dott.ssa Caterina Arcani | 16.12.2015 | n.1131


 

ATP: inammissibile se finalizzato all’accertamento dell’usura, di pretese restitutive o di non debenza

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

Il ricorso ex art 696-bis c.p.c. è inammissibile se finalizzato all’accertamento dell’usura e, quindi, di pretese restitutive o di non debenza, in quanto tali questioni presuppongono assorbenti e preliminari valutazioni giuridiche necessarie al fine della stessa formulazione del quesito al ctu, e che risulterebbero indebitamente anticipatorie di un giudizio di merito.

Questo il principio espresso dal Tribunale di Napoli, Dott.ssa Fausta Como con l’ordinanza del 20.02.2017.

Nel caso considerato, una società – cliente proponeva ricorso ex art 696 – bis chiedendo che venisse disposta CTU per accertare l’illegittima applicazione da parte della Banca, di tassi usurari e di oneri e costi non dovuti sulle somme già percepite rata per rata in relazione al contratto di mutuo con la stessa sottoscritto, nonché la somma da restituirsi al ricorrente in conseguenza della violazione, oltre il risarcimento dei danni.

Si costitutiva l’istituto di credito eccependo l’inammissibilità dello spiegato ricorso, sostenendo che le questioni relative all’usura oggettiva non possono costituire oggetto di mero accertamento, – ed in particolare di accertamento tecnico preventivo -, in quanto necessitanti di articolate e complesse valutazioni giuridiche su accordi negoziali, che non possono essere demandate al CTU in quanto di pertinenza esclusivamente del giudice.

Ciò posto, la resistente evidenziava, altresì, che la cliente aveva erroneamente indicato la banca mutuante con una diversa denominazione, nonché richiesto l’accertamento dei danni in favore di un soggetto non parte processuale.

Il tribunale partenopeo, aderendo totalmente alle prospettazioni dell’istituto di credito, ha rilevato che il ricorso ex art 696-bis finalizzato all’accertamento dell’usura e, quindi, di pretese restitutive o di non debenza, è da ritenersi inammissibile, dal momento che tali questioni presuppongono assorbenti e preliminari valutazioni giuridiche necessarie al fine della stessa formulazione del quesito al CTU, e che risulterebbero indebitamente anticipatorie di un giudizio di merito.

Per tali motivi, il giudice ha dichiarato inammissibile il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:

ATP: INAMMISSIBILE IN MATERIA DI USURA ED ANATOCISMO

LA SOLUZIONE DI QUESTIONI GIURIDICHE – PRIMA CHE TECNICHE – È RISERVATA AL GIUDIZIO A COGNIZIONE PIENA

Ordinanza | Tribunale di Napoli, Dott.ssa Grazia Bisogni | 05.12.2016 |

ATP: È INAMMISSIBILE SE FINALIZZATO ALL’ACCERTAMENTO DI USURA ED ANATOCISMO

L’ART. 696 BIS C.P.C. PRESUPPONE CHE SIANO PERFETTAMENTE INDIVIDUABILI ED INCONTROVERSI I FATTI GENERATORI DELL’OBBLIGO DI RESTITUZIONE

Ordinanza | Tribunale di Frosinone, Dott. Luigi Nocella | 13.09.2016 | 

CONSULENZA TECNICA PREVENTIVA: INAMMISSIBILE PER QUESTIONI GIURIDICHE COMPLESSE TIPICHE DI UN GIUDIZIO A COGNIZIONE PIENA

IN CASO CONTRARIO, NON SI REALIZZEREBBE LO SCOPO DEFLATTIVO DELL’ART. 696 BIS C.P.C.

Ordinanza | Tribunale di Nocera Inferiore, Dott.ssa Raffaella Cappiello | 23.06.2016 |

 


 

MEDIAZIONE: illegittima la nomina del consulente tecnico su richiesta di una sola parte

Il procedimento di mediazione non può proseguire in forma unilaterale, allorché una parte manifesti al primo incontro c.d. di programmazione volontà contraria alla prosecuzione. È pertanto illegittima la nomina di un consulente tecnico al fine di consentire al mediatore di formulare una proposta di definizione, senza il preventivo assenso di entrambe le parti.

Lo ha stabilito il Ministero della Giustizia, Dipartimento per gli Affari di Giustizia, Direzione Generale della Giustizia Civile, in persona del Magistrato delegato Dott.ssa Adele Verde, con provvedimento del 2 febbraio 2017, con il quale ha formalmente “ammonito” un organismo di mediazione responsabile di aver violato la normativa di settore.

Vediamo nel dettaglio cosa è accaduto.

Nel corso di un procedimento di mediazione promosso contro una Banca da una società-cliente, il mediatore, nonostante il rifiuto dell’istituto di credito di aderire alla procedura, ha ritenuto possibile proseguire nel tentativo di conciliazione, dichiarando “aperto” il procedimento e nominando un consulente tecnico al fine di consentire la formulazione di una proposta di definizione.

La banca dissenziente, a fronte della chiara violazione di legge, ha interpellato formalmente il Ministero della Giustizia, chiedendo di verificare la legittimità dell’operato dell’organismo di mediazione.

Esprimendosi sull’istanza dell’istituto di credito, il Ministero ha chiarito preliminarmente che il primo incontro di mediazione (c.d. di programmazione) deve essere considerato come momento non ancora inserito nello svolgimento vero e proprio dell’attività di mediazione, ciò in quanto la norma di cui all’art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 testualmente recita: “Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.”

Tale disposizione, delineando la natura e la funzione del primo incontro rispetto alla procedura di mediazione, consente, inoltre, di comprendere la ragione per la quale il legislatore ha previsto che “nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione“: non essendosi svolta vera e propria “attività di mediazione” non si potrà richiedere un compenso che attenga, appunto, ad una attività eventuale e successiva che avrà modo di essere esercitata solo se le parti intendano procedere oltre.

Ne risulta che la possibilità di iniziare la procedura di mediazione è testualmente ancorata alla volontà concorde di entrambe le parti.

Se ciò è vero, se ne deduce che il mediatore, dinanzi all’espresso rifiuto di una di queste, giammai potrà procedere a formulare alcuna proposta o alla nomina un consulente tecnico, dovendosi limitare a redigere un verbale negativo.

Ragionare diversamente snaturerebbe il ruolo che il legislatore ha voluto ritagliare al primo incontro, che altro non è se non una sessione prodromica alla vera attività di mediazione finalizzata solo a raccogliere la volontà delle parti, e alla struttura stessa dell’istituto che è stato concepito come un modello “obbligatorio mitigato” proprio per la possibilità che viene data alle parti di abbandonare la procedura nel corso del primo incontro (cd. opt-out).

Diversa è, invece, l’ipotesi in cui la parte chiamata in mediazione decida di rimanere contumace.

In tali casi, non vi è dubbio che la parte istante, se il regolamento dell’organismo lo consente, può scegliere di “entrare” in mediazione e, all’esito dell’attività del consulente tecnico, comunicare al chiamato in mediazione una proposta.

È evidente, infatti, che il dissenso non può essere equiparato alla contumacia – comportamento che il codice di procedura civile considera “neutro” – e in questa ottica deve essere letto l’art. 7, comma 2, D.M. 180/2010.

Una diversa interpretazione si porrebbe in insanabile contrasto con il dettato del decreto legislativo per le ragioni sopra esposte.

Per tali motivi il Ministero, che già in passato aveva ammonito l’organismo in questione, ha invitato nuovamente lo stesso ad adeguare il proprio regolamento alla vigente normativa e ad inserirlo nel registro telematico, con espressa diffida ad adeguarsi immediatamente alle indicazioni già fornite con precedenti note ed a darne comunicazione alle parti entro il termine di dieci giorni, pena sospensione e/o cancellazione dal registro ex art. 10 del D.M. n. 180/2010.


 

 

OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE: la cognizione è limitata ad accertamento esistenza del titolo giudiziale

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 In sede di opposizione all’esecuzione avverso un titolo di formazione giudiziale il debitore non può contestare il diritto del creditore per ragioni che avrebbe potuto, e dovuto, far valere nel procedimento di cognizione chiuso con il giudicato ovvero ancora pendente, ma può far valere esclusivamente fatti modificativi o estintivi sopravvenuti.

Questo il principio sancito dal Tribunale di Nola, Dott.ssa Roberta Guardasole, con l’ordinanza del 05.12.2016.

Nel caso di specie, parte opponente aveva rilevato, tra l’altro, l’usurarietà delle poste contabili azionate nell’ambito della procedura esecutiva e l’abuso di credito conseguente al sovraindebitamento del debitore principale.

Il Giudice ha ritenuto, in aderenza alla univoca giurisprudenza di legittimità, che laddove l’esecuzione sia promossa in forza di un titolo di formazione giudiziale, la cognizione in sede di opposizione all’esecuzione ex art 615 c.p.c., è limitata all’accertamento dell’esistenza del titolo esecutivo e delle eventuali cause successive alla sua formazione, che ne abbiano determinato la sua invalidità o inefficacia, in quanto l’opposizione all’esecuzione è rimedio rigorosamente circoscritto alla situazione processuale da cui scaturisce il titolo esecutivo.

A parere del Tribunale, la pretesa esecutiva azionata in conformità al titolo può essere neutralizzata, invero, solo con la deduzione di fatti modificativi, estintivi o impeditivi del rapporto sostanziale, successivi alla formazione del titolo e non anche in forza di vizi di nullità del provvedimento, di pretese ragioni di ingiustizia della decisione che ne costituiscano il contenuto o di circostanze che, in quanto verificate in epoca anteriore, sono state, avrebbero potuto o potrebbero ancora essere fatte valere nel procedimento di cognizione chiuso con il giudicato ovvero pendente, in virtù del principio secondo il quale il giudicato copre il dedotto ed il deducibile e del principio dell’assorbimento dei vizi di nullità in motivi di gravame.

In conclusione, per il Giudice, un’opposizione all’esecuzione che sia fondata su contestazioni afferenti il “merito” è da considerarsi in toto inammissibile.

Sulla base del suddetto principio, il Tribunale di Nola ha rigettato l’istanza di sospensione e condannato parte opponente al pagamento delle spese processuali, assegnando alla parte interessata il termine di 90 giorni per l’introduzione dell’eventuale fase di merito.


 

USURA: gli interessi di mora non rilevano ai fini della L. n. 108/1996

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

 Gli interessi moratori e corrispettivi hanno una diversa natura e funzione: i primi, costituiscono una liquidazione forfettaria minima del danno per il ritardo imputabile nel pagamento dei debiti di denaro, hanno una chiara funzione risarcitoria e pertengono alla fase patologica del rapporto, presupponendo l’inadempimento; i secondi, viceversa, rappresentano il compenso dovuto al creditore dal debitore per il godimento di una somma di denaro ed hanno chiara funzione compensativa. 

Gli interessi di mora non rilevano ai fini della L. n. 108/1996 in quanto a voler conglobare nelle determinazioni dei tassi soglia anche gli interessi moratori, che svolgono la loro funzione solo nella fase patologica del rapporto, si otterrebbe l’effetto deprecabile di far lievitare le soglie anche per la fase fisiologica del rapporto, in danno evidente dei debitori adempienti e dei nuovi contraenti.

E’ escluso che i piani di ammortamento con il metodo cosiddetto alla francese importino un fenomeno anatocistico, mancando, nello specifico, qualsiasi capitalizzazione di interessi. 

Questi i principi espressi dal Tribunale di Avellino, Dott. Raffaele Celentano, con l’ordinanza del 10.10.2016.

Nel caso considerato, una società correntista proponeva ricorso ex art. 702 bis c.p.c., convenendo in giudizio la Banca, onde ottenere la restituzione delle somme indebitamente riscosse dall’Istituto di credito a titolo di interessi usurari ed anatocistici, applicati nel corso di un rapporto di credito tra le parti.

In particolare, la società ricorrente lamentava l’usurarietà degli interessi moratori convenuti, in quanto asseritamente extra soglia, l’illegittimità del piano di ammortamento alla francese in quanto comportante fenomeno anatocistico e la conseguente illegittimità delle relative poste riscosse ed a riscuotere.

La Banca resistente si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda e rilevando, all’uopo, l’estraneità degli interessi moratori al tema dell’usura e la legittimità del piano di ammortamento alla francese.

Il Tribunale di Avellino, preliminarmente, sottolineava la diversità ontologica e funzionale degli interessi moratori e corrispettivi: gli uni costituenti una liquidazione forfettaria minima del danno per il ritardo imputabile nel pagamento dei debiti di denaro ed aventi una chiara funzione risarcitoria; gli altri, rappresentanti il compenso dovuto al creditore dal debitore per il godimento di una somma di denaro ed aventi chiara funzione compensativa.

Ad avviso del Giudice campano, proprio in ragione della diversa natura e funzione delle due categorie di interessi, un eventuale inserimento nelle determinazioni dei tassi soglia anche degli interessi moratori, non contemplati dalle Istruzioni della Banca d’Italia nella rilevazione dei TEGM, produrrebbe il deprecabile effetto di far lievitare le soglie anche per la fase fisiologica del rapporto, in danno evidente dei debitori adempienti e dei nuovi contraenti.

Il Giudice adito, osservato, inoltre, che ad oggi non esistono tassi soglia ufficiali ai quali parametrare gli interessi corrispettivi e gli altri costi delle operazioni bancarie e/o finanziarie, aumentati degli interessi moratori, ovvero i soli interessi moratori ed, in punta di anatocismo, che il metodo di capitalizzazione cd. “alla francese” risulta pienamente legittimo, in quanto non determinante alcuna capitalizzazione di interessi, rigettava la domanda e condannava la ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:

USURA BANCARIA: ESTENDERE LA VERIFICA AGLI INTERESSI MORATORI SAREBBE INCOSTITUZIONALE

L’APPLICAZIONE DI UN PARAMETRO AD UN DATO ESCLUSO DAL RELATIVO PANIERE DI RIFERIMENTO VIOLEREBBE L’ART. 3 COST

Sentenza | Tribunale di Milano, Dott. Claudio Antonio Tranquillo | 29.11.2016 | n.13719

USURA: GLI INTERESSI CORRISPETTIVI E MORATORI HANNO DIVERSA NATURA E FUNZIONE E NON VANNO SOMMATI TRA LORO

IL TASSO SOGLIA MORA USURA VA CALCOLATO OPERANDO UNA MAGGIORAZIONE DEL 2,1%

Sentenza | Tribunale di Bologna, Dott.ssa Daria Sbariscia | 06.09.2016 | n.20802

USURA: GLI INTERESSI DI MORA HANNO NATURA SANZIONATORIA E SONO ESCLUSI DAL CALCOLO DEL TEGM

IL METODO “ALL INCLUSIVE” PREVISTO DA L. 2/2009, SI APPLICA SOLO AD INTERESSI E COMMISSIONI AVENTI CARATTERE REMUNERATORIO

Sentenza | Tribunale di Verona, Dott.ssa Dal Martello | 30.06.2016 | n.1906

ATP: inammissibile in materia di usura ed anatocismo

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

E’ inammissibile il ricorso per accertamento tecnico preventivo ex art. 696 bis c.p.c. che prospetti come meramente ipotetici l’applicazione di un tasso d’interesse maggiore di quello pattuito, ovvero la pattuizione di interessi usurari od anatocistici, posto che in tal modo lo strumento tecnico verrebbe asservito a finalità esplorative, che sono estranee agli obiettivi conciliativi che l’istituto in questione persegue.

Invero, l’indagine che si richiede al giudice in subiecta materianecessariamente presuppone la soluzione di questioni giuridiche controverse sulla cui configurazione esiste una pluralità di opzioni interpretative, non profilandosi solo aspetti tecnici da risolvere, da riservarsi al giudice deputato a decidere del merito della controversia.

Questi sono i principi espressi dal Tribunale di Napoli, in persona della dott.ssa Grazia Bisogni, con provvedimento del 5 dicembre 2016, che ha respinto nettamente la richiesta di accertamento tecnico preventivo ex art. 669 bis cpc, formulata dal cliente di un istituto di credito al fine di ottenere un ricalcolo degli oneri accessori ad un contratto di mutuo ipotecario.

Nel caso di specie, il mutuatario richiedeva al Tribunale di nominare un C.T.U. al quale affidare l’incarico di verificare se il calcolo degli interessi indicati nel contratto di mutuo ipotecario e nel piano di ammortamento avesse comportato effetti anatocistici e se la concreta applicazione delle relative clausole avesse comportato lo scostamento del tasso di interesse effettivamente applicato rispetto ai parametri negoziali, provvedendo ad indicare, in caso di esito positivo, il piano di ammortamento depurato degli effetti anatocistici, e calcolando anche la differenza tra quanto dovuto e quanto versato per le rate già pagate.

Si costitutiva la banca, la quale eccepiva l’inammissibilità del ricorso per difetto dei presupposti prescritti dallo stesso art. 696 bis cpc, disposizione dettata al fine di creare uno strumento processuale di “istruzione preventiva” con finalità prevalentemente conciliative e deflattive del contenzioso.

Aderendo alle difese dell’istituto – e confermando la giurisprudenza di merito più recente – il Tribunale ha rilevato l’inammissibilità del ricorso, sotto due principali profili.

In primo luogo, il ricorrente aveva prospettato in termini generici e meramente ipotetici l’applicazione di un tasso d’interesse maggiore di quello pattuito e l’inadempimento surrettiziamente perpetrato dalla banca, per tale via, alle disposizioni contrattuali, dettate in tema di interesse corrispettivo, e normative, di divieto dell’anatocismo.

Ebbene, per questa via – ha rilevato il giudice campano – l’accoglimento la richiesta di parte ricorrente si sarebbe tradotto nel conferimento di un incarico peritale finalizzato a “verificare ciò che solo in via dubitativa una parte lamenti contro l’altra”, finendo per piegare lo strumento tecnico processuale a finalità meramente esplorative, che sono estranee alla disciplina dettata dall’art. 696bis cpc.

Ed infatti – e si viene al secondo profilo di inammissibilità – in mancanza di ragioni di urgenza, lo strumento dell’accertamento tecnico preventivo non può che avere una funzione conciliativa e deflattiva del contenzioso, da riservarsi a quei casi in cui, risolte preliminarmente questioni tecniche di relativa complessità, è verosimile che le parti possano raggiungere un accordo, così scongiurando il venir in essere di una controversia tra le stesse.

Nel caso di specie – ha notato il Tribunale – il dissidio tra le parti, in fatto ed in diritto, era già sorto, sfociando nella richiesta di verifica in sede giudiziale “sull’an debeatur, sulla cui configurazione esiste una pluralità di soluzioni interpretative, in dottrina ed in giurisprudenza, che è opportuno siano risolte nella sede, a ciò deputata, della cognizione piena della causa di merito”.

Ma, proprio in relazione a tale dissidio, è evidente che l’adesione ad una precisa tesi interpretativa da parte del giudice chiamato a pronunciarsi in via “preventiva” sulla richiesta di consulenza tecnica, si tradurrebbe in una precisa formulazione dei quesiti di C.T.U., la cui anticipata definizione, sia pure provvisoria, finirebbe per comportare un’anticipazione di giudizio nel merito, che non sarebbe in grado di orientare le parti verso la conciliazione della lite.

A ben vedere, nel merito, il mutuatario prospettava la ricorrenza di un fenomeno anatocistico per effetto della strutturazione del piano di ammortamento c.d. alla francese.

Sul punto – ha osservato coerentemente il Tribunale – “l’indagine che si richiede al giudice in subiecta materia necessariamente presuppone la condivisione di un assunto tutto da dimostrare non sotto il profilo tecnico-contabile ma giuridico, secondo il quale il piano di ammortamento adottato per il mutuo in questione ed “alla francese” sia contrario al divieto posto dall’art. 1283 c.c. in quanto produttivo di interessi anatocistici”.

Dunque, non si tratta solo di risolvere problematiche di carattere squisitamente tecnico, ma di adottare una precisa opzione ermeneutica – sul piano giuridico – su un punto controverso che la giurisprudenza, come aveva fatto emergere la difesa della Banca, risolve in via crescente proprio in maniera contraria all’assunto di parte ricorrente.

Ne è discesa la conclusione più logica: “l’adesione o meno a tale opzione ermeneutica deve essere riservata al giudice che deciderà il merito della controversia ( “L‘accertamento tecnico preventivo ex art. 696 bis c.p.c non può essere richiesto per accertare l’entità del credito dovuto all’istituto di credito in presenza di tasso usurario posto che le questioni da sottoporre al c.t.u. non sono di mero accertamento ma si presentano complesse perché demandano al c.t.u. valutazioni giuridiche sugli accordi negoziali di pertinenza esclusivamente del giudice (quali la misura usuraria dei tassi applicati”): Tribunale Spoleto, 18/05/2015; cfr. anche Tribunale di Milano, VI sezione civile, 14.11.2013; Trib. Milano, sez. X, 23 gennaio 2007; Trib. Milano 17 aprile 2006)”.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale ha dichiarato inammissibile il ricorso ex art. 696 bis cpc, condannando il mutuatario al pagamento delle spese processuali.

Per approfondimenti sui precedenti conformi si invita alla consultazione dei seguenti contributi:

ATP: È INAMMISSIBILE SE FINALIZZATO ALL’ACCERTAMENTO DI USURA ED ANATOCISMO

L’ART. 696 BIS C.P.C. PRESUPPONE CHE SIANO PERFETTAMENTE INDIVIDUABILI ED INCONTROVERSI I FATTI GENERATORI DELL’OBBLIGO DI RESTITUZIONE

Ordinanza | Tribunale di Frosinone, Dott. Luigi Nocella | 13.09.2016 |

ATP SU CONTO CORRENTE: INAMMISSIBILE PER LA RISOLUZIONE DI QUESTIONI GIURIDICHE COMPLESSE

NO AD ACCERTAMENTI TECNICI PREVENTIVI RELATIVI ALL’INTERPRETAZIONE DI NORME CONTRATTUALI

Ordinanza | Tribunale di Nocera Inferiore, Dott.ssa Enza Faracchio | 08.06.2016 |

CONSULENZA TECNICA PREVENTIVA: INAMMISSIBILE IN CASO DI CONTESTAZIONI IN TEMA DI USURA

E’ NECESSARIO INSTAURARE IL GIUDIZIO DI MERITO PER L’ACCERTAMENTO DELL’USURARIETÀ DEGLI INTERESSI APPLICATI

Ordinanza | Tribunale di Cagliari, Dott. Ignazio Tamponi | 29.04.2016 |