MANIPOLAZIONE EURIBOR: esclusa in re ipsa l’illiceità dell’indice

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm 

L’applicazione del tasso euribor non implica, ex se, alcuna violazione dell’art. 2 legge n. 287/1990, bensì il processo di fraudolenta alterazione dei tassi interbancari ai quali viene scambiato il denaro, di talché la clausola contrattuale che rinviasse all’indice euribor per la determinazione del saggio degli interessi corrispettivi è valida ad esclusione del caso in cui venga comprovata l’intervenuta contraffazione del suo fisiologico andamento in un determinato periodo di riferimento. 

Nel calcolo del tasso effettivo globale del mutuo possono essere incluse soltanto le spese della polizza assicurativa obbligatoria, prevista nel contratto quale condizione cui è subordinata la concessione del finanziamento, configurandosi le stesse, in tal caso, come una parte del corrispettivo collegato all’erogazione del credito. Dovranno pertanto essere escluse le spese relative alla polizza cd. facoltativa come quella versata contro il rischio del decesso, priva del carattere dell’obbligatorietà.

Questi i principi espressi dal Tribunale di Salerno, giudice Alessandro Brancaccio, con l’ordinanza del 19.10.2017.

Nella fattispecie processuale esaminata, un cliente proponeva opposizione all’esecuzione avviata da una Banca, contestando il diritto della creditrice di procedere ad espropriazione forzata, deducendo l’usurarietà del contratto di mutuo fondiario, nonchè l’illegittimità degli interessi pattuiti, per essere stato il parametro dell’euribor oggetto di indebita manipolazione.

Il Giudice ha rilevato che il processo genetico di emersione e di calcolo dell’euribor, caratterizzato da obblighi e regole di condotta imposti in ambito comunitario, non determina, ex se, alcuna violazione dell’art. 2 legge n. 287/1990, ciò in quanto detto tasso viene pubblicato quotidianamente dalla Federazione Bancaria Europea sulla base di una mera media matematica dei dati comunicati all’agenzia Reuters Ltd da almeno dodici tra gli istituti di credito aventi il maggior volume d’affare dell’area Euro (vale a dire, tra le cosiddette “banche di riferimento”), con esclusione dal computo dei valori ricompresi entro la fascia minima e massima del 15% degli indici applicati.

Soltanto qualora tra gli istituti di credito di riferimento si instaurasse un’intesa finalizzata ad incrementare artificiosamente il tasso euribor e a lucrare un ingiusto profitto in danno della clientela, sarebbe configurabile un accordo anticoncorrenziale idoneo ad inficiare la legittimità del parametro di indicizzazione per l’intero periodo temporale della sua manipolazione; pertanto ad essere illecito non sarebbe giammai l’euribor in quanto tale, ma il processo di fraudolenta alterazione dei tassi interbancari ai quali viene scambiato il denaro, di talché la nullità della clausola contrattuale che rinviasse all’indice in oggetto per la determinazione del saggio degli interessi corrispettivi potrebbe essere dichiarata soltanto ove venisse comprovata l’intervenuta contraffazione del suo fisiologico andamento in un determinato periodo di riferimento.

Per tali motivi il Tribunale ha rigettato l’opposizione, e con essa la richiesta di sospensione dell’esecuzione spiegata dall’opponente.

Per altri precedenti si veda:

MANIPOLAZIONE EURIBOR: RESPINTA LA TESI DELL’ESISTENZA DI UNA INTESA RESTRITTIVA DEL MERCATO

MEDIA ARITMETICA DI TASSI DI INTERESSE DELLE BANCHE OPERANTI NELL’EUROZONA

Sentenza | Tribunale di Milano, Dott. Claudio Marangoni | 09.01.2017 | n.111

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/manipolazione-euribor-respinta-la-tesi-dellesistenza-intesa-restrittiva-del-mercato

MANIPOLAZIONE EURIBOR: ESCLUSA SE MANCA LA PROVA DELL’INTESA RESTRITTIVA DELLA CONCORRENZA E DELLA CONNESSIONE CON IL CONTRATTO

L’ACCERTAMENTO DELLA VIOLAZIONE DEL DIVIETO DI INTESA RESTRITTIVA È SOTTRATTO AL GIUDICE ORDINARIO EX ART. 33 L. 287/1990

Sentenza | Tribunale di Sciacca, Dott. Filippo Lo Presti | 17.01.2017 | n.37

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/manipolazione-euribor-esclusa-manca-la-prova-dellintesa-restrittiva-della-concorrenza-della-connessione-contratto

MANIPOLAZIONE EURIBOR: ESCLUSA IN DIFETTO DI PROVA ALTERAZIONE ATTRAVERSO UN ACCORDO DI CARTELLO

IL PARAMETRO EURIBOR SODDISFA PIENAMENTE IL REQUISITO DELLA DETERMINABILITÀ

Sentenza | Tribunale Milano, Dott. Francesco Matteo Ferrari | 12.12.2016 | n.13562

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/manipolazione-euribor-esclusa-in-difetto-di-prova-alterazione-attraverso-un-accordo-di-cartello

USURA SOPRAVVENUTA: negata la ripetizione di interessi divenuti successivamente usurari

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm 

Va negata la configurabilità dell’usura sopravvenuta non soltanto con riferimento ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 108 del 1996, ma anche con riferimento a contratti successivi all’entrata in vigore della legge recanti tassi inferiori alla soglia dell’usura, superata poi nel corso del rapporto per effetto della caduta dei tassi medi di mercato, che sono alla base del meccanismo legale di determinazione dei tassi usurari. 

Deve inoltre essere ulteriormente esclusa, in base alla pretesa applicazione del criterio di buona fede ex art 1375 c.c., l’illiceità ex se della condotta dell’istituto bancario di pretendere il pagamento di interessi a un tasso divenuto superiore alla soglia dell’usura come determinata al momento del pagamento stesso, in quanto tale pretesa corrisponde ad un diritto validamente riconosciuto dal contratto.

Questi i principi espressi dal Tribunale di Nola, Giudice Rosa Anna Capozzi con la sentenza n. 958 del 10.05.2018.

Nella fattispecie in disamina un mutuatario conveniva in giudizio la Banca al fine di accertare l’applicazione al contratto di mutuo dallo stesso stipulato con l’istituto di credito di interessi superiori alle soglie usura.

Si costituiva in giudizio la Banca contestando nel merito la domanda sostenendo l’irretroattività della legge 108/96, posto che il rapporto era sorto in data precedente all’entrata in vigore della normativa in tema di usura, ed eccependo la prescrizione del diritto.

La causa veniva istruita mediante CTU contabile nella quale veniva accertato il superamento del “tasso soglia” fissato ai sensi dell’art. 2 della l. 108/1996 solo a decorrere dal primo trimestre del 1999 e sino all’estinzione del rapporto.

Il Tribunale, concordando con le prospettazioni della convenuta, ha rilevato che il contratto di mutuo ipotecario oggetto di causa era stato stipulato nel marzo del 1997, ossia in data anteriore all’entrata effettiva in vigore della legge 108/96, avvenuta in data 2 aprile 1997, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del d.m. del 22 marzo 1997, contenente la prima rilevazione dei tassi medi, ex art. 2 della legge ed ha quindi ritenuto di dover aderire all’orientamento che nega la configurabilità della cd. “usura sopravvenuta” per in contratti stipulati antecedentemente all’entrata in vigore della normativa.

In particolare il Giudice ha richiamato quanto statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la recente sentenza n.24675 del 19.10.2017 (http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/usura-sopravvenuta-rileva-unicamente-il-momento-della-pattuizione) ed ha chiarito che la questione della configurabilità di una “usura sopravvenuta” si pone non soltanto con riferimento ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 108 del 1996, come nel caso in esame, ma anche con riferimento a contratti successivi all’entrata in vigore della legge recanti tassi inferiori alla soglia dell’usura, superata poi nel corso del rapporto per effetto della caduta dei tassi medi di mercato, che sono alla base del meccanismo legale di determinazione dei tassi usurari, precisando ulteriormente che la valutazione di usurarietà del contratto va effettuata con esclusivo riferimento al momento della pattuizione, essendo il giudice vincolato all’interpretazione autentica dell’art. 644 c.p., e art. 1815 c.c., comma 2, come modificati dalla legge n. 108 del 1996, imposta dal D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1..

Il Tribunale, ha quindi specificato che è perfettamente lecita la condotta dell’istituto bancario di pretendere il pagamento di interessi a un tasso divenuto superiore alla soglia dell’usura come determinata al momento del pagamento stesso, in quanto corrispondente a un diritto validamente riconosciuto dal contratto. 

Tale condotta, non può essere considerata ex se illecita, neanche invocando il disposto di cui all’art. 1375 c.c. in quanto a violazione del canone di buona fede non è riscontrabile nell’esercizio in sè di diritti scaturenti dal contratto, dovendosi necessariamente avere riguardo alle particolari modalità di tale esercizio in concreto, che risultino appunto scorrette in relazione alle circostanze del caso.

Sulla scorta di tali rilievi, il Tribunale ha quindi integralmente rigettato le domande di parte attrice, condannandola altresì alla rifusione delle spese di lite in favore della Banca convenuta.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:

USURA SOPRAVVENUTA: RILEVA UNICAMENTE IL MOMENTO DELLA PATTUIZIONE

VALIDI I TASSI DIVENUTI SUCCESSIVAMENTE USURAI

Sentenza | Corte di Cassazione civile, Sezioni Unite, Pres. Rordorf – Rel. De Chiara | 19.10.2017 | n.24675

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/usura-sopravvenuta-rileva-unicamente-il-momento-della-pattuizione

USURA SOPRAVVENUTA: RILEVANO UNICAMENTE I TASSI CONVENUTI AL MOMENTO DELLA STIPULA

IL TRIBUNALE DI ROMA FA PROPRIO IL DICTUM DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE S.U. N. 24675/17

Sentenza | Tribunale di Roma, Giudice Dott. Fausto Basile | 19.02.2018 | n.3565

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/usura-sopravvenuta-rilevano-unicamente-i-tassi-convenuti-al-momento-della-stipula

RAPPORTI BANCARI: ESCLUSA OGNI RILEVANZA DELLA CD. USURA SOPRAVVENUTA

IL RISPETTO DELLA NORMATIVA IN TEMA DI USURA VA VERIFICATO CON ESCLUSIVO RIFERIMENTO AL MOMENTO DELLA PATTUIZIONE

Sentenza | Tribunale di Roma, Giudice Marco Cirillo | 26.01.2018 | n.1846

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/rapporti-bancari-esclusa-ogni-rilevanza-della-cd-usura-sopravvenuta


 

PROCESSO ESECUTIVO: si conclude con l’emissione dei mandati di pagamento del cancelliere

 Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

Il momento conclusivo del processo esecutivo corrisponde allo stadio equipollente a quello che l’art. 2945, comma 2, cit., individua, per la giurisdizione cognitiva, nel passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. Esso corrisponde all’attuazione concreta del diritto del creditore procedente e che si realizza non nell’ordinanza che conclude il processo espropriativo di approvazione del progetto di distribuzione, ma alla concreta attuazione del provvedimento giudiziale che conclude il processo esecutivo, mediante l’intervento del cancelliere cui spetta il compito di emettere i cosiddetti mandati di pagamento.

Questo il principio espresso dal Tribunale di Avellino, Giudice Maria Cristina Rizzi con la sentenza n. 836 del 03.05.2018.

Nel caso di specie i mutuatari si opponevano all’ingiunzione di pagamento che il Tribunale di Avellino avevo emesso nei loro confronti, a titolo di restituzione delle rate del mutuo concesso dalla Banca, eccependo la inidoneità dei documenti depositati a corredo del ricorso monitorio ai fini della emissione del decreto, la prescrizione, l’anatocismo, l’usura.

La Banca aveva avviato il procedimento monitorio chiedendo il pagamento dell’importo residuo a titolo di rate impagate di un mutuo fondiario, non essendo stato satisfattivo il ricavato della espropriazione immobiliare già posta in essere in danno degli debitori.

L’eccezione di prescrizione sollevata dagli opponenti secondo cui dal giorno in cui la procedura esecutiva si era conclusa e la data della prima missiva di costituzione in mora erano trascorsi oltre dieci anni; ha offerto l’occasione al Giudice di merito per soffermarsi sugli effetti prescrizionali degli atti della procedura esecutiva.

In particolare, il Giudice ha distinto l’effetto prescrizionale interruttivo istantaneo del precetto che, “non costituendo atto diretto alla instaurazione di un giudizio, interrompe la prescrizione senza effetti permanenti, che si protrae anche nel caso in cui, dopo la notificazione del precetto, l’intimato abbia proposto opposizione; e l’efficacia interruttiva permanente e sospensiva della prescrizione, ai sensi del combinato disposto degli art. 2943, comma 1, e 2945, comma 2, c.c., tipica invece dell’atto con il quale viene iniziata la procedura esecutiva, che si protrae sino a quando la procedura esecutiva possa dirsi conclusa.

Lo stadio di chiusura della procedura esecutiva, secondo il Tribunale di Avellino, corrisponde al “momento equipollente a quello che l’art. 2945, comma 2, cit., individua, per la giurisdizione cognitiva, nel passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio”. Tale momento corrisponde allo stadio in cui il processo esecutivo abbia fatto conseguire al creditore procedente l’attuazione coattiva del suo diritto.

Occorre, dunque, individuare tale momento concreto ovvero quando la realizzazione della pretesa esecutiva possa dirsi conseguita e soddisfatta.

Orbene, secondo il Tribunale di Avellino: “tale momento non può semplicisticamente individuarsi nell’ordinanza di approvazione del piano di riparto del ricavato dalla vendita forzata, ma va ricondotto al momento in cui il creditore è stato soddisfatto e, dunque, le somme sono state riscosse distinguendo il momento conclusivo del processo espropriativo che si individua nell’approvazione del progetto di distribuzione, dal momento in cui ha concreta attuazione il provvedimento giudiziale che conclude il processo esecutivo, attuazione che si realizza mediante l’intervento del cancelliere cui spetta il compito di emettere i cosiddetti mandati di pagamento” (cfr. Cass. n. 23572/04, che distingue tra conclusione della fase espropriativa, che si ha con l’ordine di pagamento, e conclusione del processo esecutivo, che si ha con l’emissione dei mandati di pagamento).

Il Giudice aderisce alla linea seguita dalla dottrina che ammette l’astratta ed estrema conseguenza della revocabilità del progetto di distribuzione fino a che non abbia avuto esecuzione, ex art. 487 cod. proc. civ., vale a dire fino a che il cancelliere non abbia emesso i mandati di pagamento e questi non siano stati riscossi: infatti, “l’ordine di pagamento che, nella procedura esecutiva immobiliare, segue l’approvazione del progetto di distribuzione ex art. 598 cod. proc. civ., non può dirsi satisfattivo, se non dopo che abbia avuto concreta esecuzione”.

Il Tribunale affronta un altro argomento di estrema importanza e cioè quello relativo alla applicabilità della legge antiusura ai contratti stipulati in epoca antecedente all’entrata in vigore della normativa L.108/1996 ossia dell’emanazione del primo D.M. emanato il 22.03.1997 ed ha ritenuto che tale conflitto vada risolto aderendo all’impostazione ormai confermata dalla Corte di Cassazione per cui la “legge antiusura che non conosce applicazione retroattiva” (Cass. sez. un.24675 del 2017).

Ad analoga conclusione perviene il Tribunale quanto all’anatocismo, secondo cui “se il mutuo è successivo al decreto legislativo del 1° settembre 1993 n. 385, entrato in vigore il 1° gennaio 1994, non è mai legittima la richiesta e/o il calcolo di interessi anatocistici”.

Alla luce delle suesposte articolate argomentazioni il Tribunale di Avellino, sebbene abbia ritenuto opportuno revocare il decreto ingiuntivo in quanto emesso per un maggiore importo, ha condannato i debitori al pagamento di quanto dovuto ed alla rifusione in favore dell’opposta dei 2/3 delle spese di lite.


 

INTERESSI MORATORI LEASING: insuscettibili di generare usura a titolo originario

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

LE MASSIME

Per gli interessi di mora non può porsi un problema di usurarietà a titolo originario posto che al momento della conclusione del contratto tali oneri, meramente eventuali esprimono un peso economico e finanziario pari a zero e non sono in grado di “superare il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessipertanto, perché assumano rilevanza ai fini della verifica del TEG, la sola pattuizione contrattuale è insufficiente, così come è irrilevante un ipotetico worst case.

La presenza di una cd. “clausola di salvaguardia” esclude la configurabilità della violazione della normativa usura in quanto tale pattuizione, prevedendo espressamente che – nel caso di ipotetico superamento del tasso soglia – l’interesse convenzionale di mora sia pari al tasso soglia stesso, configura un meccanismo che evita in radice l’applicazione di interessi di mora usurari.

Questi i principi espressi dal Tribunale di Napoli, Giudice Fabiana Ucchiello con l’ordinanza resa in data 17.04.2018.

IL CASO

Nell’ambito di un rapporto di locazione finanziaria, l’UTILIZZATRICE con ricorso ex art 702-bis conveniva in giudizio la CONCEDENTE deducendo l’applicazione ai contratti di leasing con la stessa stipulati di interessi usurari chiedendo, previa declaratoria di nullità delle relative clausole ex art. 1418 c.c. e art. 644 c.p., la restituzione di tutto quanto versato in esecuzione dei medesimi contratti ex art. 1815, comma 1, c.c., oltre al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito.

Resisteva la CONCEDENTE contestando gli avversi assunti ed eccependo, in particolare, che i tassi convenzionali convenuti rientravano nelle soglie usura ratione temporis applicabili e che, con riferimento agli interessi di mora, gli stessi dovevano essere esclusi dal vaglio di usurarietà, sia in quanto mai concretamente applicati ai rapporti de quibus sia perché non rientranti nell’architettura del sistema normativo di cui alla L. 108/96, evidenziando ulteriormente che, in ogni caso, ai contratti di leasing accedevano altrettante “clausole di salvaguardia” le quali prevedevano espressamente che l’interesse convenzionale di mora fosse pari – nel caso di ipotetico superamento del tasso soglia – al tasso soglia stesso, arrotondato all’intero inferiore e concludendo, infine,  per il rigetto del ricorso.

La causa veniva istruita documentalmente e veniva disposta una CTU contabile al fine di accertare il dedotto superamento del tasso soglia.

Il Tribunale, alla luce delle risultanze peritali, rilevava che con riferimento a tutti i contratti stipulati tra le parti solo le pattuizioni relative agli interessi moratori risultavano essere superiori ai valori soglia, ma che alcuna mora veniva in concreto applicata.

Sul punto il Giudice ha specificato che gli interessi di mora sono insuscettibili di generare usura a titolo originario, posto che al momento della conclusione del contratto tali oneri, meramente eventuali esprimono un peso economico e finanziario pari a zero e non sono in grado di “superare il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi”.

Ciò posto il Magistrato ha ulteriormente chiarito che, anche ove fossero stati effettivamente applicati interessi di mora, la presenza della cd. “clausola di salvaguardia” avrebbe escluso in ogni caso la configurabilità della violazione della normativa usura, in quanto tale pattuizione, prevedendo espressamente che – nel caso di ipotetico superamento del tasso soglia – l’interesse convenzionale di mora fosse pari al tasso soglia stesso, configura un meccanismo che evita in radice l’applicazione di interessi di mora usurari.

Sulla scorta di tali rilievi il Giudice ha rilevato l’assoluta infondatezza degli assunti della ricorrente, pronunciandosi per l’integrale rigetto delle domande proposte, condannando altresì l’UTILIZZATRICE alla rifusione delle spese di lite in favore della CONCEDENTE.

IL COMMENTO

Con la decisione in commento, il Tribunale di Napoli ha fornito un’importante chiarificazione in merito alla rilevanza degli interessi moratori ai fini dell’impianto normativo delineato dalla L. 108/96, sancendo a chiare lettere che gli interessi di mora, in considerazione della loro peculiare natura e funzione, sono ex sé insuscettibili di generare usura a titolo originario.

In particolare, con condivisibile argomentazione, il Giudice ha preliminarmente chiarito che gli interessi moratori sono esclusi dal calcolo del TEG in quanto – posto che il TEG è un indice che indica il costo annuale del contratto ed in esso vanno compresi tutti gli oneri annuali sostenuti dal mutuatario – gli interessi di mora non costituiscono dei costi annuali né certi né fissi, in quanto trovano applicazione se e quando il cliente non paghi le rate di ammortamento, con la conseguenza che il tasso di mora pattuito in contratto inciderebbe sul TEG nella sua interezza solo nell’ipotesi in cui il cliente sia in mora per l’intero anno.

Il Tribunale ha quindi specificato che al momento della conclusione del contratto tali oneri, meramente eventuali esprimono un peso economico e finanziario pari a zero, e pertanto gli stessi, valutati con riferimento al momento dell’effettiva pattuizione non sono in grado di “superare il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi”.

Pertanto – continua il Magistrato – a differenza degli interessi corrispettivi, rispetto ai quali può certamente porsi un problema di usurarietà originaria del tasso (poiché quel tasso di interesse sarà certamente applicato per tutta la durata del rapporto e ad ogni rata) il medesimo discorso non può farsi per la mora in quanto in tal caso “è necessario verificare come tale tasso si atteggia in concreto nel corso del rapporto” e quindi l’effettiva incidenza del tasso nel corso del trimestre, perchè potrebbe anche accadere che il ritardo nell’adempimento sia pari ad un giorno solo e che l’importo addebitato non faccia andare in usura il relativo tasso.

Tale ulteriore specificazione deve essere, invero criticata e valutata alla luce del recente orientamento espresso dalla sentenza delle S.S.U.U. n.24675 del 19.10.2017 (http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/usura-sopravvenuta-rileva-unicamente-il-momento-della-pattuizione ) che, risolvendo il conflitto giurisprudenziale esistente sul punto, ha stabilito l’irrilevanza di qualsivoglia forma di usura sopravvenuta.

In particolare il Supremo Collegio ha chiarito che allorché il tasso degli interessi superi nel corso dello svolgimento del rapporto la soglia dell’usura, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola di determinazione del tasso degli interessi non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, rilevando unicamente il momento in cui gli interessi sono convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento.

Deve allora negarsi ogni rilevanza alla circostanza che gli interessi di mora originariamente pattuiti siano superiori alla soglia vigente all’epoca della conclusione del contratto, in quanto il controllo di usurarietà non può che essere riferito esclusivamente al momento della pattuizione, e non al momento successivo della concreta applicazione della clausola che ne stabilisce la misura, essendo rilevante – in ultima analisi – il solo dato per il quale al momento della conclusione del contratto gli interessi di mora hanno peso economico pari a zero, con la conseguenza che tali oneri, in quanto meramente potenziali, non possono assumere alcuna rilevanza ai fini della L. 108/96.

Per ulteriori approfondimenti, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:

USURA SOPRAVVENUTA: RILEVA UNICAMENTE IL MOMENTO DELLA PATTUIZIONE

VALIDI I TASSI DIVENUTI SUCCESSIVAMENTE USURAI

Sentenza | Corte di Cassazione civile, Sezioni Unite, Pres. Rordorf – Rel. De Chiara | 19.10.2017 | n.24675

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/usura-sopravvenuta-rileva-unicamente-il-momento-della-pattuizione

USURA SOPRAVVENUTA: RILEVANO UNICAMENTE I TASSI CONVENUTI AL MOMENTO DELLA STIPULA

IL TRIBUNALE DI ROMA FA PROPRIO IL DICTUM DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE S.U. N. 24675/17

Sentenza | Tribunale di Roma, Giudice Dott. Fausto Basile | 19.02.2018 | n.3565

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/usura-sopravvenuta-rilevano-unicamente-i-tassi-convenuti-al-momento-della-stipula

USURA: GLI ONERI EVENTUALI NON RILEVANO PER LA VERIFICA DEL SUPERAMENTO TSU

SONO COSTI POTENZIALI SUBORDINATI AL VERIFICARSI DELLE CONDIZIONI CONTRATTUALI PROMESSE

Decreto | Tribunale di Agrigento, Dott.ssa Maria Cultrera | 26.06.2017 |

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/usura-gli-oneri-eventuali-non-rilevano-per-la-verifica-del-superamento-tsu


 

SEGNALAZIONE CAI: irrilevante il richiamo da parte della Banca negoziatrice del titolo dell’assegno non pagato

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

L’emissione di un assegno bancario privo di fondi, prima respinto e poi richiamato da parte della banca negoziatrice del titolo, non esonera la banca trattaria dall’obbligo di procedere alla iscrizione nella Centrale di Allarme Interbancaria. 

La Banca trattaria, constatata la mancata sussistenza della provvista di un titolo presentato all’incasso, è obbligata a comunicare al traente l’avviso che in mancanza del pagamento nei termini previsti si provvederà all’iscrizione nell’archivio CAI ed alla successiva detta iscrizione la Banca è obbligata, pena la responsabilità solidale con il traente. 

Il richiamo dell’assegno bancario e la successiva distruzione non integra la prova del pagamento, essendo sufficiente solo ad evitare l’elevazione del protesto.

Questi sono i principi espressi dalla Corte di Cassazione sez. prima, Pres. Giancola – Rel. Dolmetta con ordinanza n.19412 del 03.08.2017.

Nella fattispecie esaminata una società ricorreva per cassazione nei confronti di una banca che aveva provveduto alla segnalazione nella Centrale d’Allarme Interbancaria (CAI) a seguito della presentazione all’incasso di un assegno privo della necessaria provvista; successivamente tale titolo veniva “richiamato” dal beneficiario con la conseguenza che non veniva elevato il protesto ed il titolo di credito veniva distrutto.

Avverso tale segnalazione il cliente proponeva azione legale al fine di ottenere la cancellazione, che veniva respinta prima dal Tribunale di Benevento e poi dalla Corte di appello.

Avverso tale decisione il correntista ha proposto ricorso per cassazione, deducendo che la Corte territoriale avrebbe errato la decisione in quanto è in “violazione della Circolare n. 139/91 della Banca d’Italia”, nonchè in “violazione della L. n. 386 del 1990”.

In particolare il cliente ha posto a fondamento del proprio gravame il dato, asseritamente essenziale, che “l’assegno in parola era stato distrutto “.

La Corte di Cassazione ha rilevato che ai fini della “non applicazione” delle diverse sanzioni che sono previste da tale legge, l’art. 8 di questa stabilisce il concorso di due condizioni:

1). l’avvenuto “pagamento dell’assegno, degli interessi, della penale e delle eventuali spese per il protesto o per la constatazione equivalente” nel termine di sessanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione;

2). la prova del pagamento così avvenuto “mediante” presentazione allo “stabilimento trattario” di “quietanza del portatore con firma autenticata”.

Alla luce del richiamato dato normativo la Corte ha concluso per la correttezza della ricostruzione operata nella sentenza impugnata essendo in proposito “irrilevante” quella dell’eventuale “distruzione dell’assegno”.

Il ricorso è stato quindi respinto con condanna al pagamento delle spese processuali.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:

L’ASSEGNO PRIVO DI FONDI, BENCHÉ RICHIAMATO, OBBLIGA ALL’ISCRIZIONE IN CAI

Il richiamo dell’assegno privo di fondi da parte della Banca negoziatrice non esonera la Banca trattaria dall’inserimento in CAI

Sentenza | Corte di Appello di Napoli, Giudice relatore dott. Giulio Cataldi | 30.10.2012 | n.3509

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/l-assegno-privo-di-fondi-benche-richiamato-obbliga-all-iscrizione-in-cai


 

CONTO CORRENTE: regolari le operazioni effettuare dall’ex amministratore non legittimato

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

Sono regolari le operazioni effettuate su conto corrente dall’ex amministratore non legittimato, se il cambio nominativo non è stato comunicato all’istituto a mezzo di lettera raccomandata, in virtù di espressa clausola contrattuale in deroga dell’art. 2193 cc.

Questo è il principio espresso dal Tribunale di napoli, sez. II civ., giudice Luigia Stravino, con la sentenza del 01.02.2018 n. 1088.

Nel caso di specie il Fallimento conveniva in giudizio la Banca chiedendo la condanna al pagamento di un’ingente somma di denaro, pari all’importo prelevato, per effetto della condotta colposa consistente nell’aver permesso all’ex amministratore unico della società poi fallita, di prelevare denaro dal conto corrente di quest’ultima, pur sprovvisto di legittimazione.

La Banca si costituiva in giudizio difendendosi nel merito, eccependo di aver correttamente operato, non avendo mai ricevuto alcuna raccomandata avente ad oggetto il cambio di nome dell’amministratore e di non essere in alcun modo tenuta a verificare le iscrizioni nel registro delle imprese, dal momento che il contratto di conto corrente prevedeva l’obbligo di comunicazione del cliente alla banca di eventuali revoche e le modifiche delle facoltà concesse alle persone autorizzate, a pena di inopponibilità nei confronti della stessa.

Il Tribunale ha elaborato un singolare principio partendo dal disposto della norma di cui all’art. 2193 c.c.. che costituisce applicazione del principio di apparenza e di affidamento, in particolare partendo dal rilievo che assume il 2° comma di detta disposizione, secondo il quale “l’ignoranza dei fatti dei quali la legge prescrive l’iscrizione non può essere opposta dai terzi dal momento in cui l’iscrizione è avvenuta” che è ascrivibile alla tipologia di pubblicità cd. dichiarativa (diversa da quella costitutiva, che costituisce formalità imprescindibile per il perfezionamento dell’atto), che dà luogo ad una presunzione assoluta di conoscenza di quel determinato fatto, o secondo altra dottrina, ad una semplice causa di opponibilità.

Disciplina diversa è prevista, invece, per il caso in cui detta formalità pubblicitaria non sia stata adempiuta, giacché in questi casi il fatto da iscrivere non può essere opposto ai terzi, salvo che non si provi che gli stessi ne erano a conoscenza. Infine, il comma 3° prevede la possibilità di derogare la predetta disciplina per effetto di particolari disposizioni di legge.

Orbene, secondo il Tribunale non vi è dubbio che le disposizioni relative alla nomina e alla modifica degli amministratori (artt. 2196-2206-2207 c.c.) di società rientrino tra i casi soggetti a tali formalità pubblicitarie.

Indubbiamente, prosegue il Giudice, l’art. 2193 c.c., applicando i principi di trasparenza e di affidamento, sembra affermare che la conoscenza di un fatto da iscrivere – ed effettivamente iscritto – nel registro delle imprese sia condizionata esclusivamente all’espletamento delle relative formalità pubblicitarie. Tuttavia, la norma non esclude che nei casi particolari i singoli rapporti possano essere diversamente disciplinati dalle parti contrattuali, prevedendo differenti modalità comunicative delle modifiche inerenti i fatti soggetti alle formalità pubblicitarie.

Nel caso di specie, avendo la Banca e la società accordato che eventuali modifiche delle facoltà concesse alle persone autorizzate sarebbero state comunicate direttamente alla Banca per il tramite di raccomandate, ne discende che le modifiche del potere autorizzativo non dipendono più dalla forma generale imposta dall’art. 2193 c.c., bensì dalla regola contrattuale eccezionale.

Millantare la considerazione inversa significherebbe giungere al paradosso di affermare l’obbligo della banca di richiedere al cliente, ad ogni operazione da eseguirsi su conto corrente, la visura camerale all’attualità, onde verificare che il soggetto abilitato alle operazioni di conto sia ancora in carica.

Per le ragioni il Tribunale ha rigettato la domanda del Fallimento, compensando le spese tra le parti.


 

RICERCA TELEMATICA DEI BENI DA PIGNORARE: consentito l’accesso diretto del creditore alle banche dati

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

In virtù del combinato disposto degli artt. 492-bis c.p.c. e 155-quinques disp. att. c.p.c., quando le strutture tecnologiche, necessarie a consentire l’accesso diretto da parte dell’ufficiale giudiziario alle banche dati di cui all’articolo 492-bis del codice e a quelle individuate con il decreto di cui all’articolo 155-quater, primo comma, non sono funzionanti, il creditore munito di titolo esecutivo che abbia notificato preventivo precetto di pagamento, decorso il termine di cui all’art 482 c.p.c., ha diritto di essere autorizzato dal Presidente del Tribunale ad avere accesso diretto ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, e in quelle degli enti previdenziali per l’acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti.

Questi i principi espressi dal Tribunale di Napoli Nord in Aversa, Dott.ssa Paola Caserta con il provvedimento del 27.02.2018.

Nella fattispecie in disamina un creditore munito di regolare titolo esecutivo, notificato atto di precetto al debitore, in conseguenza dell’inadempimento dello stesso, presentava ricorso al Presidente del Tribunale per ottenere l’autorizzazione alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare in virtù del combinato disposto degli artt.492-bis c.p.c. e 155-quinques disp. att. c.p.c..

Il Presidente, ricostruita analiticamente la normativa di riferimento, ha rilevato che sebbene dalla lettura testuale dell’art. 492- bis l’autorizzazione all’accesso telematico ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni ed, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, e in quelle degli enti previdenziali “per l’acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti” parrebbe dover essere concessa soltanto all’ ufficiale giudiziario, tale facoltà debba essere comunque riconosciuta al creditore che lo richieda in virtù dell’art. 155-quinquies disp. att. c.p.c nell’ipotesi in cui le strutture tecnologiche, necessarie a consentire l’accesso diretto da parte dell’ufficiale giudiziario alle banche dati di cui all’articolo l’art. 155-quater, comma 1, disp. att. c.p.c. non siano funzionanti ed, al contempo, risultino sussistenti determinati presupposti.

In particolare, qualora un creditore intenda proporre tale richiesta, dovrà essere in possesso di un titolo esecutivo, provvedere alla notifica dell’atto di precetto e solo dopo il decorso di dieci giorni potrà presentare istanza al fine di essere autorizzato ad accedere alla banca dati direttamente.

Ciò posto, il Presidente ha evidenziato che sebbene allo stato non risulti pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia alcun elenco di banche dati ai sensi dell’art. 155-quater, comma 1, disp. att. c.p.c. per le quali sia operativo l’accesso da parte dell’ufficiale giudiziario e che, pertanto, l’accesso mediante collegamento telematico diretto da parte di questi non possa essere autorizzato, tale mancanza non sia ostativa alla concessione del provvedimento in favore del creditore istante, bensì valga a determinare la realizzazione della condizione prevista dall’ art. 155-quinquies disp. att. c.p.c , 1 comma.

Pertanto, rilevato che nel caso in esame risultava documentata l’esistenza del titolo esecutivo, l’avvenuta notifica dello stesso e dell’atto di precetto ed il decorso del termine di cui all’art. 482 c.p.c., ha autorizzato la Banca ad ottenere dai gestori delle banche dati comprese nell’anagrafe tributaria, nonché di quelle degli enti previdenziali, tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione.

Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:

RICERCA TELEMATICA BENI DA PIGNORARE: IL CREDITORE PUÒ ACCEDERE DIRETTAMENTE A BANCHE DATI

LA MANCANZA DEI DECRETI ATTUATIVI NON IMPEDISCE LA OPERATIVITÀ

Ordinanza | Tribunale di Napoli Nord, Dott.ssa Paola Caserta | 06.11.2017 |

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/ricerca-telematica-beni-pignorare-creditore-puo-accedere-direttamente-banche-dati 

RICERCA TELEMATICA BENI DA PIGNORARE: IL CREDITORE PROCEDENTE PUÒ ACCEDERE ALLE BANCHE DATI IN PRIMA PERSONA

NEL CASO DI MALFUNZIONAMENTO DELLE STRUTTURE TECNOLOGICHE IN USO AGLI UFFICIALI GIUDIZIARI

Decreto | Tribunale di Nola, Dott. Giovanni Tedesco | 22.11.2016 |

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/ricerca-telematica-beni-da-pignorare-il-creditore-procedente-puo-accedere-alle-banche-dati-in-prima-persona 

RICERCA TELEMATICA DEI BENI DA PIGNORARE: AUTORIZZAZIONE AL CREDITORE DAL TRIBUNALE DI MILANO

ANCHE IN CASO DI NON FUNZIONAMENTO DELLE STRUTTURE ATTE A CONSENTIRE L’ACCESSO DIRETTO ALL’UFFICIALE GIUDIZIARIO

Decreto | Tribunale di Milano, Pres. Cesare De Sapia | 28-10-2015

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/ricerca-telematica-dei-beni-da-pignorare-autorizzazione-al-creditore-dal-tribunale-di-milano.html

LEASING -FURTO: la società concedente ha diritto all’indennizzo rate

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

In materia di leasing la società concedente si considera – in quanto proprietario dei beni ad oggetto del contratto –unica legittimata a ricevere l’indennizzo nell’ipotesi di furto del bene contratto, atteso che tale garanzia sia specificamente pattuita in favore della stessa.

Nel caso in cui in un contratto di leasing l’installazione di un sistema di allarme a protezione dell’impianto sia previsto quale condizione necessaria per il risarcimento del danno, ne deriva che in caso di furto si esclude che l’onere probatorio di cui all’art’2697 c.p.c. possa considerarsi provato mediante la prova testimoniale rese dai testi non alle dipendenze della società utilizzatrice del bene.

Questi i principi espressi dal Tribunale di Crotone, Dott. ssa Raffaela Dattolo con la sentenza n.439 del 16.06.2017.

Nella fattispecie in esame, una società finanziata conveniva in giudizio una compagnia di assicurazione ed una società di leasing, affinché la compagnia di assicurazione fosse condannata, previo accertamento della sua obbligazione contrattuale, alla corresponsione di una somma di denaro a titolo di mancata produzione di energia elettrica.

Nel merito, l’attrice, premettendo che 1) aveva contratto con la società di leasing un contratto di locazione finanziaria con il quale si concedeva un impianto fotovoltaico; 2) che in adempimento alle clausole contrattuali aveva stipulato con la compagnia di assicurazione una polizza assicurativa contro il furto dei beni concessi in locazione 3) che aveva garantito alla società di leasing in caso di furto, i1 pagamento di un indennizzo comprendente sia l’importo del valore dei beni trafugati, sia quello corrispondente alla mancata produzione di energia elettrica, chiedeva, (stante il furto verificatosi successivamente alla stipula contrattuale), la condanna della società di leasing a retrocedere alla società attrice l’indennità a titolo di risarcimento danni.

Si costituiva, tempestivamente, in giudizio la compagnia di assicurazione che contestando la fondatezza – in fatto ed in diritto – delle avverse pretese, eccepiva – in via preliminare – la carenza di legittimazione attiva sostenendo che la garanzia assicurativa era stata stipulata in favore della società di leasing, e chiedeva – nel merito – il rigetto della domanda attorea, specificando, come il danno patito dalla società attrice non rientrava nelle condizioni della polizza stipulata posto che l’impianto non era dotato di sistema di allarme.

Si costituiva in giudizio, altresì, la società di leasing che specificando di essere l’unica legittimata a ricevere la devoluzione dell’indennizzo in quanto proprietaria dei beni locati – assicurava che – in caso di sua corresponsione – avrebbe a sua volta retrocesso l’indennizzo in favore della utilizzatrice trattenendo per sé qualsivoglia importo che da quest’ultima fosse ancora dovuto alla concedente a qualsiasi titolo.

Il Giudicante, valutando l’operatività delle condizioni specificamente pattuite in caso di furto dei beni concessi in locazione, nonché la garanzia debitamente disposta in favore della società, ha ritenuto di dover rigettare la domanda attorea, considerando in primo luogo che non era ravvisabile un valido riscontro probatorio in ordine al nesso causale tra la causazione dell’evento ed i danni riportati dall’attrice così come previsto dalle condizioni di polizza, ed in secondo luogo che i beni oggetto della polizza di assicurazione non erano custoditi con un sistema di allarme ad hoc così come previsto nelle condizioni di polizza.

In particolare, sul punto il Giudice ha precisato che ove non sia provata in giudizio l’installazione di un sistema di allarme a protezione di un bene oggetto di leasing, nel caso in cui tale meccanismo di protezione sia previsto quale condizione necessaria per il risarcimento del danno in caso di furto deve ritenersi che tale circostanza non può certamente considerarsi provata mediante la prova testimoniale resa da soggetti non dipendenti della società ha installato il sistema di monitoraggio.

Alla luce delle suesposte argomentazioni il Tribunale rigettava le domande avanzate dall’attrice, condannandola, altresì, al pagamento delle spese di lite.

Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia al seguente contributo pubblicato in Rivista:

LEASING FINANZIARIO: IN CASO DI FURTO, CONTRATTO RISOLTO E RIMBORSO ASSICURATIVO A FAVORE CONCEDENTE

LA SOCIETÀ DI LEASING HA DIRITTO ALL’INDENNIZZO RATE A SCADERE E PREZZO DI ACQUISTO FINALE

Sentenza | Tribunale di Nola, dott. Francesco Colella | 21.01.2016 | n.243

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/leasing-finanziario-in-caso-di-furto-contratto-risolto-e-rimborso-assicurativo-a-favore-concedente

USURA: valida la clausola di salvaguardia che preveda la riconduzione intra – soglia dei tassi di mora convenuti

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm 

Si deve escludere che l’usurarietà del tasso di mora possa derivare dall’applicazione degli interessi moratori su rate comprensive degli interessi corrispettivi, e tanto anche alla luce di una corretta interpretazione dell’ordinanza della Cassazione Civile n. 23192 del 4 ottobre 2017 la quale ha unicamente affermato che il vaglio antiusura deve essere effettuato autonomamente sia in relazione agli interessi corrispettivi che a quelli moratori.

La pattuizione di una cd. clausola di salvaguardia è perfettamente lecita laddove la stessa sia strutturata nel senso di prevedere, in caso di superamento del tasso soglia,  non il diritto del cliente alla restituzione di quanto versato in eccedenza, ma un’automatica riconduzione intra – soglia della misura dei tassi convenuti, sicchè lo stesso sia in alcun modo tenuto a pagare interessi moratori eccedenti tale limite.

Questi i principi espressi dal Tribunale di Napoli, Giudice  Ettore Pastore Alinante con la sentenza n. 1476 resa in data 09.02.2018.

Nella fattispecie considerata un mutuatario conveniva in giudizio la Banca mutuante chiedendo di accertare l’usurarietà degli interessi pattuiti nonché, in subordine, di dichiarare nulla la clausola di pattuizione degli interessi ex art. 117 TUB co. 6 e 7 sia con riferimento all’ISC che al TAN, perché applicati in misura superiore a quanto indicato in contratto e quindi, per l’effetto, di rideterminare il saldo del rapporto condannando la convenuta a restituire le somme indebitamente percepite.

Si costituiva in giudizio l’intermediario convenuto instando per l’integrale rigetto della domanda perché inammissibile ed infondata.

Espletata CTU contabile, il consulente accertava che sia la misura degli interessi corrispettivi che quella degli interessi di mora era pattuita entro i limiti del tasso soglia.

In relazione alle doglianze in punto d’usura, il Giudicante ha specificato che deve escludersi che l’usurarietà del tasso di mora possa derivare dall’applicazione degli interessi moratori su rate comprensive degli interessi corrispettivi, e ciò anche alla luce della recente pronuncia della Cassazione n. 23192/2017 la quale ha semplicemente affermato che il vaglio antiusura riguarda sia gli interessi convenzionali che quelli di mora.

Il Magistrato ha chiarito altresì che la circostanza che gli interessi di mora si applichino anche in caso di ritardo nel pagamento degli interessi corrispettivi è perfettamente lecita e discende dalla loro funzione sanzionatoria del ritardo del mutuatario nell’adempiere le proprie obbligazioni, le quali, appunto, consistono nella restituzione del capitale e nel pagamento degli interessi corrispettivi.

Rispetto all’ipotesi, pure valutata dal CTU, di superamento della soglia usura calcolando l’incidenza del solo tasso di mora sulla sola sorta capitale ricompresa in ciascuna rata di mutuo, il Tribunale ha specificato che, pur volendo ammettere la liceità di tale operazione contabile, l’usurarietà delle pattuizioni contrattuali doveva in ogni caso escludersi in conseguenza della previsione in contratto di un’apposita clausola di salvaguardia, la quale doveva ritenersi perfettamente lecita perché strutturata in modo tale non da prevedere che il mutuatario abbia diritto a vedersi restituire gli interessi pagati oltre la soglia dell’usura, bensì che il cliente non sia in alcun modo tenuto a pagare interessi moratori, se eccedenti tale soglia.

Ancora, con ulteriore ipotesi di ricalcolo il CTU aveva accertato che inserendo tra gli oneri la penale di estinzione anticipata, il TEG del rapporto superava il tasso soglia vigente al momento della stipula. Sul punto il Giudicante ha però specificato che, trattandosi di un onere mai concretamente applicato al rapporto contestato, tale conteggio era privo di rilevanza.

Verificata infine la perfetta coincidenza dei tassi pattuiti con quelli effettivamente applicati, il Tribunale si è pronunciato per l’integrale rigetto della domanda attorea, con condanna del mutuatario alla rifusione delle spese di lite e di CTU.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista: 

USURA: LA DECISIONE N.23192/17 DELLA CASSAZIONE NON È DIRIMENTE PER SOSTENERE LA TESI DELLA SOMMATORIA DEI TASSI

L’ONTOLOGICA DIVERSITÀ DI FUNZIONE DEGLI INTERESSI CORRISPETTIVI E DI MORA NE IMPEDISCE IL CUMULO

Sentenza | Tribunale di Velletri, Pres. Dott. Marcello Buscema | 08.11.2017 | n.3136

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/usura-la-decisione-n-2319217-della-cassazione-non-e-dirimente-per-sostenere-la-tesi-della-sommatoria-dei-tassi 

USURA: VALIDA LA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA PREDISPOSTA NELLA STIPULA DI UN CONTRATTO DI MUTUO

LA NULLITÀ DI CUI ALL’ART. 1344 C.C. OPERA SOLO NEL CASO PATTUIZIONE TESA AD ELUDERE DIVIETO DELLA L. 108/96

Sentenza | Tribunale di Pavia, Dott. Laura Cortellaro | 21.03.2017 | n.494

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/usura-valida-la-clausola-salvaguardia-predisposta-nella-stipula-un-contratto-mutuo

USURA: LA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA CONTIENE IN AUTOMATICO GLI INTERESSI ENTRO IL TASSO SOGLIA

LA PREVISIONE CONTRATTUALE ESCLUDE LA SANZIONE DELLA GRATUITÀ DEL MUTUO

Ordinanza | Tribunale di Rimini, dott. Rosario Lionello Rossino | 14-03-2015

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/usura-la-clausola-di-salvaguardia-contiene-in-automatico-gli-interessi-entro-il-tasso-soglia.html


 

REVOCATORIA FALLIMENTARE: inammissibile sul ricavato della vendita di titoli costituiti in pegno irregolare

Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm 

In ipotesi di titoli oggetto di pegno irregolare, è esclusa soggezione a revocatoria fallimentare delle somme ricavate dalla vendita di detti beni a compensazione di eventuali crediti vantati dal garantito, in quanto rientranti nell’esenzione da revocatoria di cui all’art. 4 del d.lgs n. 170/2004 il quale prevede che al verificarsi di un evento determinante l’escussione della garanzia, il creditore pignoratizio ha facoltà, anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione, di procedere all’utilizzo del contante oggetto della garanzia per estinguere l’obbligazione finanziaria garantita.

Questo il principio espresso dal Tribunale di Nola, Giudice Giuseppa d’Inverno con la sentenza n. 174 del 17.01.2018.

Nella fattispecie in disamina, il fallimento di una società conveniva in giudizio la Banca onde ottenere la revoca delle rimesse derivanti da un operazione di vendita di titoli a decurtazione dell’esposizione debitoria della società poi fallita, in quanto posta in essere nel semestre antecedente il fallimento e nella piena consapevolezza da parte dell’intermediario dello stato di insolvenza in cui versava all’epoca dell’escussione la società.

Si costituiva in giudizio l’Istituto di Credito convenuto contestando in toto le prospettazioni attoree, deducendo preliminarmente che l’operazione contestata era stata posta in essere anteriormente il semestre antecedente il fallimento ed altresì rilevando che i titoli poi venduti erano oggetto di una garanzia pignoratizia e che pertanto la banca aveva il pieno diritto di escutere la garanzia e trattenere le somme incassate.

Sul punto, il Tribunale rilevava preliminarmente che l’importo derivante dall’operazione di vendita contestata era sì stato incamerato dalla banca convenuta ma che non risultava accreditato nel conto corrente acceso dalla società poi fallita presso la detta banca, sicchè, non essendo stata effettuata alcuna rimessa, non era possibile qualificare la domanda proposta dalla curatela come revocatoria ex art. 67, comma 2, lett.b. l. fall, dovendosi, piuttosto, interpretare la domanda come revocatoria della compensazione effettuata alla data di esigibilità dei crediti bancari, avvenuta all’epoca del passaggio a sofferenza dei conti correnti, ciò in quanto i titoli venduti erano oggetto di un pegno irregolare a garanzia dell’esposizione debitoria della società, nel quale era prevista la facoltà della Banca di disporre di detti beni in modo pieno e temporalmente incondizionato.

Ciò posto, il Giudice rilevava che doveva essere esclusa da revocatoria la compensazione tra il credito della banca derivante dalla vendita degli strumenti finanziari costituiti in pegno in quanto rientrante nell’esenzione di cui all’art. 4 del d.lgs n. 170/2004, ricorrendo le condizioni di cui agli artt. 1 e 2 del citato Decreto in quanto:

a. trattavasi di garanzia prestata da una società commerciale in favore di un ente creditizio;

b. il contratto di pegno in discussione si configurava quale contratto di garanzia finanziaria avente ad oggetto strumenti finanziari;

c.il medesimo contratto è provato per iscritto e la garanzia finanziaria è stata prestata.

Sulla scorta di tali considerazioni il Tribunale rigettava integralmente la domanda proposta dalla curatela con condanna al pagamento delle spese di lite.

Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista: 

REVOCATORIA FALLIMENTARE: È INAMMISSIBILE SU RICAVATO VENDITA TITOLI IN PEGNO IRREGOLARE VERSATO DIRETTAMENTE AL CREDITORE

LA BANCA NON È TENUTA AD INSINUARSI NEL PASSIVO FALLIMENTARE PER CARENZA DI INTERESSE

Sentenza | Tribunale di Roma, dott. Giuseppe Di Salvo | 08.08.2016 | n.15833

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/revocatoria-fallimentare-lescussione-del-pegno-e-un-pagamento-ordinario 

FALLIMENTO: IL CREDITORE PUÒ ESCUTERE IL PEGNO ANCHE IN ASSENZA DI AMMISSIONE AL PASSIVO IN VIA PRIVILEGIATA

L’ART. 4 D. LGS. 170/2004 SGANCIA LA REALIZZAZIONE DELLA GARANZIA DAL CONTROLLO PREVENTIVO DEL TRIBUNALE

Ordinanza | Tribunale di Brescia, Pres. Sabbadini – Rel. Busato | 27.01.2015 |

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/fallimento-il-creditore-puo-escutere-il-pegno-anche-in-assenza-di-ammissione-al-passivo-in-via-privilegiata 

CONCORDATO PREVENTIVO: LA BANCA PUÒ ESCUTERE LA GARANZIA PIGNORATIZIA?

TERMINI E CONDIZIONI PER LA REALIZZAZIONE DEL PEGNO

Ordinanza | Trib. Ravenna, dott. M. Vicini | 25.10.2014 |

http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/concordato-preventivo-la-banca-puo-escutere-la-garanzia-pignoratizia