Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm
La provvisoria esecutività della sentenza di condanna resa a fronte di una domanda di mero accertamento del dare /avere formulata in primo grado, in quanto ultrapetita, va sospesa.
La condotta dell’appellato che ponga in esecuzione un capo della sentenza che sia prima facie non conforme alle domande formulate in primo grado, è contrario a lealtà processuale ed inoltre rende plausibile il pericolo di possibili condotte volte a rendere difficoltoso il recupero delle somme che fosse eventualmente condannato a restituire alla banca in caso di accoglimento dell’appello.
Sussiste l’interesse pubblico di evitare il dispiego di attività processuale in azioni esecutive che, ad una sommaria analisi, appaiono non sostenute da un titolo valido, al fine di garantire la ragionevole durata del processo.
Questi i principi espressi dalla Corte D’Appello dell’Aquila, Pres. Rel. Nicoletta Orlandi in data 22/05/2018.
Nella fattispecie considerata, un cliente agiva in danno di un intermediario per ottenere l’accertamento la differenza fra quanto da questi versato a titolo di interessi corrispettivi contrattualmente pattuiti e quanto da lui dovuto mediante applicazione dei tassi previsti dall’art. 117 TUB, previa compensazione con i canoni ancora non versati.
Il Tribunale erroneamente accoglieva la domanda, disponendo la condanna dell’intermediario al pagamento della somma oggetto di accertamento.
Successivamente l’intermediario proponeva appello, chiedendo la sospensione della efficacia esecutiva della sentenza, rilevando la violazione del principio di cui all’ art 112 c.p.c.
Nelle more della discussione il cliente iniziava una esecuzione forzata.
La Corte ha ritenuto che prima facie non appariva infondata la deduzione dell’appellante di nullità per ultrapetizione del capo di condanna della sentenza impugnata, alla luce delle conclusioni formulate dal cliente in primo grado, aventi ad oggetto la domanda di accertamento delle partite di dare/avere relative al rapporto intercorso con la controparte e non già di condanna alla restituzione delle somme indebitamente versate.
Nel contempo ha ritenuto come contrario al principio di lealtà processuale da parte dell’appellato l’aver posto in esecuzione un capo della sentenza che, ad una prima lettura, sembra non conforme alle domande formulate in primo grado.
La Corte ha ben sottolineato che sussiste sempre l’interesse pubblico di evitare il dispiego di attività processuale in azioni esecutive che, ad una sommaria analisi, appaiono non sostenute da un titolo valido, al fine di garantire la ragionevole durata del processo.
Alla luce di tali argomentazioni il Collegio si ha disposto la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata.