PROCESSO ESECUTIVO: si conclude con l’emissione dei mandati di pagamento del cancelliere

 Procedimento patrocinato da De Simone Law Firm

Il momento conclusivo del processo esecutivo corrisponde allo stadio equipollente a quello che l’art. 2945, comma 2, cit., individua, per la giurisdizione cognitiva, nel passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. Esso corrisponde all’attuazione concreta del diritto del creditore procedente e che si realizza non nell’ordinanza che conclude il processo espropriativo di approvazione del progetto di distribuzione, ma alla concreta attuazione del provvedimento giudiziale che conclude il processo esecutivo, mediante l’intervento del cancelliere cui spetta il compito di emettere i cosiddetti mandati di pagamento.

Questo il principio espresso dal Tribunale di Avellino, Giudice Maria Cristina Rizzi con la sentenza n. 836 del 03.05.2018.

Nel caso di specie i mutuatari si opponevano all’ingiunzione di pagamento che il Tribunale di Avellino avevo emesso nei loro confronti, a titolo di restituzione delle rate del mutuo concesso dalla Banca, eccependo la inidoneità dei documenti depositati a corredo del ricorso monitorio ai fini della emissione del decreto, la prescrizione, l’anatocismo, l’usura.

La Banca aveva avviato il procedimento monitorio chiedendo il pagamento dell’importo residuo a titolo di rate impagate di un mutuo fondiario, non essendo stato satisfattivo il ricavato della espropriazione immobiliare già posta in essere in danno degli debitori.

L’eccezione di prescrizione sollevata dagli opponenti secondo cui dal giorno in cui la procedura esecutiva si era conclusa e la data della prima missiva di costituzione in mora erano trascorsi oltre dieci anni; ha offerto l’occasione al Giudice di merito per soffermarsi sugli effetti prescrizionali degli atti della procedura esecutiva.

In particolare, il Giudice ha distinto l’effetto prescrizionale interruttivo istantaneo del precetto che, “non costituendo atto diretto alla instaurazione di un giudizio, interrompe la prescrizione senza effetti permanenti, che si protrae anche nel caso in cui, dopo la notificazione del precetto, l’intimato abbia proposto opposizione; e l’efficacia interruttiva permanente e sospensiva della prescrizione, ai sensi del combinato disposto degli art. 2943, comma 1, e 2945, comma 2, c.c., tipica invece dell’atto con il quale viene iniziata la procedura esecutiva, che si protrae sino a quando la procedura esecutiva possa dirsi conclusa.

Lo stadio di chiusura della procedura esecutiva, secondo il Tribunale di Avellino, corrisponde al “momento equipollente a quello che l’art. 2945, comma 2, cit., individua, per la giurisdizione cognitiva, nel passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio”. Tale momento corrisponde allo stadio in cui il processo esecutivo abbia fatto conseguire al creditore procedente l’attuazione coattiva del suo diritto.

Occorre, dunque, individuare tale momento concreto ovvero quando la realizzazione della pretesa esecutiva possa dirsi conseguita e soddisfatta.

Orbene, secondo il Tribunale di Avellino: “tale momento non può semplicisticamente individuarsi nell’ordinanza di approvazione del piano di riparto del ricavato dalla vendita forzata, ma va ricondotto al momento in cui il creditore è stato soddisfatto e, dunque, le somme sono state riscosse distinguendo il momento conclusivo del processo espropriativo che si individua nell’approvazione del progetto di distribuzione, dal momento in cui ha concreta attuazione il provvedimento giudiziale che conclude il processo esecutivo, attuazione che si realizza mediante l’intervento del cancelliere cui spetta il compito di emettere i cosiddetti mandati di pagamento” (cfr. Cass. n. 23572/04, che distingue tra conclusione della fase espropriativa, che si ha con l’ordine di pagamento, e conclusione del processo esecutivo, che si ha con l’emissione dei mandati di pagamento).

Il Giudice aderisce alla linea seguita dalla dottrina che ammette l’astratta ed estrema conseguenza della revocabilità del progetto di distribuzione fino a che non abbia avuto esecuzione, ex art. 487 cod. proc. civ., vale a dire fino a che il cancelliere non abbia emesso i mandati di pagamento e questi non siano stati riscossi: infatti, “l’ordine di pagamento che, nella procedura esecutiva immobiliare, segue l’approvazione del progetto di distribuzione ex art. 598 cod. proc. civ., non può dirsi satisfattivo, se non dopo che abbia avuto concreta esecuzione”.

Il Tribunale affronta un altro argomento di estrema importanza e cioè quello relativo alla applicabilità della legge antiusura ai contratti stipulati in epoca antecedente all’entrata in vigore della normativa L.108/1996 ossia dell’emanazione del primo D.M. emanato il 22.03.1997 ed ha ritenuto che tale conflitto vada risolto aderendo all’impostazione ormai confermata dalla Corte di Cassazione per cui la “legge antiusura che non conosce applicazione retroattiva” (Cass. sez. un.24675 del 2017).

Ad analoga conclusione perviene il Tribunale quanto all’anatocismo, secondo cui “se il mutuo è successivo al decreto legislativo del 1° settembre 1993 n. 385, entrato in vigore il 1° gennaio 1994, non è mai legittima la richiesta e/o il calcolo di interessi anatocistici”.

Alla luce delle suesposte articolate argomentazioni il Tribunale di Avellino, sebbene abbia ritenuto opportuno revocare il decreto ingiuntivo in quanto emesso per un maggiore importo, ha condannato i debitori al pagamento di quanto dovuto ed alla rifusione in favore dell’opposta dei 2/3 delle spese di lite.