Procedimento patrocinato da DE SIMONE LAW FIRM
Non è provata la conoscenza dello stato di insolvenza ove la curatela ponga quale unico elemento presuntivo il versamento della somma sul conto già a sofferenza.
Non è possibile desumere la conoscenza dello stato di insolvenza dalla mera affermazione di un andamento anomalo del conto. La mancata allegazione dei bilanci e l’omessa descrizione di tutte le operazioni compiute nei sei mesi antecedenti la dichiarazione di fallimento, non consentono di ricostruire, in base ad un processo logico-deduttivo, la scientia decoctionis in capo alla banca.
È e resta onere del curatore dimostrare la conoscenza, da parte dell’istituto, dello stato di insolvenza dell’imprenditore.
Non è possibile affermare che la banca, solo in quanto tale, abbia la possibilità di conoscere le difficoltà economiche e finanziarie dei propri clienti, posto che, così ragionando, si rischierebbe di escludere (ed illegittimamente) ogni necessità di allegazione da parte del curatore degli elementi sintomatici della concreta conoscenza della crisi dell’imprenditore o addirittura di dar luogo ad una vera e propria inversione dell’onere della prova.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Napoli, sezione Fallimentare, Giudice Unico dott.ssa Alessia Notaro, con sentenza n. 285 del 09.01.2015, rigettando la domanda promossa dalla Curatela diretta a far dichiarare l’inefficacia delle rimesse bancarie effettuate dalla società fallita nei sei mesi antecedenti la dichiarazione di fallimento.
La Curatela citando in giudizio la Banca riteneva che le rimesse effettuate dal correntista nei sei mesi antecedenti la dichiarazione di fallimento fossero revocabili sul presupposto che la banca ben conosceva lo stato di insolvenza della società poi fallita atteso che le stesse erano state effettuate su conti già a sofferenza.
Si costituiva in giudizio la Banca contestando le avverse richieste ben evidenziando che alla fattispecie deve essere applicata la disposizione di cui all’art.67 LF, nella sua nuova formulazione, che dispone la revocabilità delle rimesse solo a particolari condizioni di cui la curatela non aveva dato prova; oltre alla carenza dell’elemento soggettivo e oggettivo.
Il giudice partenopeo, nell’esaminare la domanda attorea, si è soffermato sull’analisi dell’elemento soggettivo della conoscenza dello stato di insolvenza cd. scientia decoctionis (da sempre oggetto di dibattito giurisprudenziale), il cui onere grava sul curatore.
In particolare, il curatore deve dare la prova effettiva e non meramente potenziale che la parte conosceva lo stato di insolvenza del correntista.
Il Giudice, poi, ben precisa che nel valutare gli elementi indiziari idonei a far desumere la prova della scientia decoctionis deve tenersi conto anche dello status professionale del soggetto che dovrebbe avere conoscenza del dissesto.
In tal senso fra gli operatori economici ritenuti più capaci devono senza dubbio annoverarsi gli istituti di credito i quali sono in grado di controllare, in modo continuativo, le eventuali variazioni patrimoniali dei loro clienti, potendo sia accedere alla centrale Rischi presso la Banca d’Italia, che conoscere anticipatamente i bilanci di esercizio o ancor assumere informazioni riservate da parte di altre banche.
Ciò tuttavia, afferma il Giudice, la qualifica dell’operatore quale “banca” non è di per sé idonea ad affermare l’implicita e automatica conoscenza dello stato di insolvenza del debitore fallito. Invero, una tale automaticità comporterebbe l’esclusione, del tutto illegittima, per il curatore, di dover dimostrare ulteriori elementi sintomatici della concreta conoscenza della crisi dell’imprenditore.
In tal senso è e resta onere del curatore dover dimostrare la conoscenza, da parte dell’istituto, dello stato di insolvenza dell’imprenditore.
Con riferimento al caso in esame, il Giudice precisa che la Curatela avrebbe fondato il proprio onere basandolo sulla circostanza per cui: “Le operazioni sarebbero state effettuate su di un conto a sofferenza in data di poco antecedente alla dichiarazione di fallimento”. In altri termini secondo la curatela la conoscenza dello stato di insolvenza sarebbe desumibile dalla mera affermazione di un andamento anomalo del conto.
Sul punto l’adito Giudicante, nel rigettare l’azione promossa dal fallimento ben evidenzia come tale unico elemento sintomatico indicato dal curatore non è di per se idoneo a dimostrare la sussistenza dell’elemento soggettivo.
Ne è possibile, invero, affermare che la banca abbia, solo in quanto tale, la possibilità di conoscere le difficoltà economiche e finanziarie dei propri clienti, posto che, così ragionando, si rischierebbe di escludere (ed illegittimamente) ogni necessità di allegazione da parte del curatore degli elementi sintomatici della concreta conoscenza della crisi dell’imprenditore o addirittura di dar luogo ad una vera e propria inversione dell’onere della prova.
In altri termini, se può ragionevolmente ammettersi che la banca ha la possibilità tecnica ed organizzativa di conoscere la reale situazione patrimoniale dei propri clienti prima e meglio degli altri creditori, ciò evidentemente non basta per ritenere dimostrata la sua effettiva conoscenza dello stato di insolvenza del correntista poi fallito, essendo pur sempre necessario che il curatore deduca e dimostri in giudizio quelle circostanze di fatto da cui la banca, se del caso prima e meglio di altri operatori economici, avrebbe potuto trarre la consapevolezza delle difficoltà finanziarie del debitore al momento dell’adempimento.
Del resto, nel caso di specie, anche i dati concernenti il concreto andamento del conto. come registrato dagli estratti esibiti, si presentano del tutto insufficienti a sostenere la tesi della curatela attrice che, viceversa, dagli stessi, vorrebbe trarre argomenti certi a sostegno della dimostrazione della scientia decoctionis.
Alla luce delle suesposte considerazioni il Tribunale ha rigettato la domanda attorea ben chiarendo che la scientia decoctionis deve essere specificamente provata anche nei confronti della banca, operatore qualificato e non rileva la classificazione della posizione a sofferenza.